In punta di diritto
Meloni, Francesco Petrelli: "Governo indagato, perché è sbagliato parlare di atto dovuto"
«Guardi, cerchiamo di essere chiari: non esistono più atti “dovuti” in materia di iscrizione nel registro indagati», afferma l’avvocato Francesco Petrelli, presidente nazionale dell’Unione delle camere penali.
Presidente Petrelli, secondo l’Associazione nazionale magistrati, il procuratore di Roma Francesco Lo Voi non poteva invece fare altrimenti. Ricevuta la denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti contro la premier e mezzo governo, era obbligato ad effettuare l’iscrizione e ad inviare tutto al Tribunale dei ministri.
«Nel 2017, vorrei ricordarlo, il predecessore del procuratore Lo Voi, il dottor Giuseppe Pignatone, aveva emanato una circolare nella quale indicava con precisione gli aspetti giuridici e i presupposti di fatto che devono presiedere all’iscrizione nel registro degli indagati. In particolare, non “iscrizioni automatiche basate su una lettura meccanica della normativa” che finiscono “per attribuire impropriamente alla Polizia Giudiziaria – o addirittura al privato denunciante – il potere di disporre in ordine alle iscrizioni“, ma loro rimessione “al potere esclusivo del pubblico ministero” e al suo “ponderato esercizio”».
Concetti poi ribaditi con la riforma Cartabia.
«Certo. La riforma, oltre ad aver mandato in soffitta l’idea stessa di atto “dovuto”, ha messo dei paletti molto stringenti in materia di iscrizioni. L’iscrizione, non dimentichiamo, è un passaggio importantissimo nell’economia del procedimento penale, essendo fonte di oneri e garanzie per indagato».
Quindi non c’è nessun automatismo?
«Assolutamente. Se non fosse così, e dovendo quindi procedere obbligatoriamente come dice l'Anm, gli uffici giudiziari sarebbero sommersi dai fascicoli. Le Procure sono quotidianamente inondate da denunce di tanti cittadini contro magistrati e politici con incarichi governativi. Li indaghiamo tutti? Ci rendiamo conto che la situazione diventerebbe ingestibile?»
Chiarito che non esiste alcun atto dovuto, non le sembra che il provvedimento della Procura di Roma esorbiti le attribuzioni della magistratura?
«La decisione della Procura di Roma va ad incidere su quella che è la discrezionalità degli atti del presidente del Consiglio, dei ministri e dell’intero governo. Si tratta di un aspetto di grandissima rilevanza. La eventuale violazione di un trattato internazionale cui lo Stato italiano debba ottemperare non può certamente essere oggetto di una azione giudiziaria da parte della magistratura. Il procuratore ha valutato questo aspetto? E poi c’è un’altra considerazione da fare».
Quale?
«Essendo adesso tutti indagati, non saranno sentiti in Parlamento, la sede naturale per la premier ed i suoi ministri dove fornire spiegazioni su quanto accaduto.
L’azione della Procura di Roma ha di fatto impedito il dibattito parlamentare, danneggiando così le dinamiche democratiche. La conseguenza è che i cittadini non saranno informati. Io penso che in casi del genere serva prudenza e grande attenzione. Trincerarsi dietro la frase dell’atto “dovuto” è molto ipocrita».
Crede che questa decisione sia il frutto dello scontro in atto fra politica e magistratura?
«Io noto una evidente ed irresponsabile escalation di tensione fra poteri dello Stato».
Cosa può succedere?
«Si crea nel Paese un clima di delegittimazione nei confronti delle Istituzioni. In particolare proprio adesso che è in gioco una riforma costituzionale come quella della separazione delle carriere fra pm e giudici».
I magistrati anche ieri sono rimasti sulle proprie posizioni, difendendo le scelte del procuratore di Roma.
«I magistrati dovrebbero svolgere il proprio operato, come recita la Costituzione, con disciplina ed onore. Va bene il dissenso. Tutti possono esprimere le proprie idee sotto il profilo tecnico, ma non si deve sfociare nel conflitto. Le devo dire che sono rimasto basito quando ho saputo che l’Anm vuole assumere degli “esperti di comunicazione” in vista del referendum costituzionale sulla separazione delle carriere, una volta approvato il provvedimento in Parlamento. I magistrati hanno già in mente di condizionare l’opinione pubblica, effettuando ingerenze di natura squisitamente politica. Io ritengo che chi esercita la giurisdizione debba conservare sempre sobrietà ed equilibrio. Altrimenti si fa un danno a tutti i cittadini».
Forse non se ne rendono conto...
«Oppure se ne rendono conto molto bene. Non giriamoci tanto in torno: qualsiasi iniziativa della magistratura può condizionare le scelte in campo economico, sociale o politico. Immaginare che il magistrato viva in un contesto estraneo e dunque non capisca le conseguenze delle sue azioni mi pare francamente eccessivo. Sarebbe una astrattezza che nessun comportamento umano può rivendicare».
Meno dibattiti e più sentenze?
«La Corte costituzionale, già 40 anni fa, scrisse che il magistrato non può non godere delle libertà di qualsiasi cittadino. Ma proprio per la delicatezza del ruolo che svolge non si può non tenere conto dei comportamenti che assume all’interno e all’esterno del processo.
Non penso ci sia da aggiungere altro».