Ad alzo zero

Meloni, Fabrizio Cicchitto: "Perché è peggio rispetto ai tempi di Berlusconi"

Michele Zaccardi

«Mai come in questo caso c’è stata una puntualità così incredibile, nel senso che dopo le proteste contro la separazione delle carriere, l’Associazione nazionale dei magistrati ha scatenato un attacco frontale su atti parlamentari e del governo, facendo saltare ogni divisione dei ruoli tra Parlamento, governo e magistratura. Siamo davanti a una forma globale di uso eversivo della giustizia».

Fabrizio Cicchitto, che oggi presiede un’associazione, Riformismo e Libertà, ed è condirettore di Civiltà socialista, interviene sul caso Almasri e sugli avvisi di garanzia spiccati nei confronti della premier Meloni, dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano. Cicchitto ci tiene a fare una premessa: «Le mie considerazioni non derivano da una posizione pregiudizialmente favorevole al governo, ma dal mio essere un fervente garantista da sempre».

Siamo tornati a trent’anni fa?
«Sì, ma in modo molto più acuto. Quando si colpiva Berlusconi lo si faceva con questioni che riguardavano la corruzione o altri atti “privati”, mentre in questo caso siamo davanti a una vicenda che attiene agli interessi globali del nostro Paese, che riguardano l’Eni e la nostra politica energetica, gli italiani che lavorano lì e l’immigrazione. La battuta sulla giustizia a orologeria è molto ripetuta ma in questo caso è clamorosa: prima l’Anm attacca il governo sulla separazione delle carriere, poi rilascia dichiarazioni molto dure sulla scarcerazione del capo della polizia libica, Almasri, e subito dopo partono gli avvisi di garanzia nei confronti di mezzo governo. Direi che quanto avvenuto ai tempi di Berlusconi adesso viene portato alle estreme conseguenze. L’Anm guida la danza e usa alcuni esecutori come i pm che indagano l’esecutivo. Siamo alla tempesta perfetta».

Insomma, la giustizia come arma di lotta politica.
«In questo caso c’è una forma globale, a 360 gradi, di uso eversivo della giustizia.
C’è anche un incredibile conflitto di interessi nella magistratura. Nel momento in cui viene approvatala separazione delle carriere, un provvedimento fondato su una maggioranza parlamentare, ineccepibile dal punto di vista giuridico e politico, ecco che parte un attacco a testa bassa da parte delle toghe».

Tutto nasce dal caso Almasri. Cosa ne pensa?
«Ci troviamo di fronte a una cosa che è assolutamente inusitata. A nessuno viene in mente la parte che non attiene al diritto, ma che riguarda gli interessi dell’Italia. Vedendo le cose dal punto di vista sostanziale, è chiaro che noi abbiamo interessi enormi in Libia: l’energia, con l’Eni; i cittadini italiani che lavorano lì e che sono esposti a rappresaglie; la gestione dei flussi migratori. Se avessimo una presenza militare potremmo tutelare questi interessi, ma questa presenza non ce l’abbiamo. Il Paese è stato destabilizzato a suo tempo con un atto del tutto sbagliato che Berlusconi cercò di evitare ma fu soverchiato dalle pressioni da un lato di Obama e Sarkozy, e dall’altro di Napolitano. Oggi ci troviamo con una Libia dove le uniche presenze che contano dal punto di vista militare sono i russi e i turchi».

Vede dei lati oscuri nel comportamento della Corte penale internazionale che ha fatto arrestare Almasri solo quando si trovava in Italia?
«È provato che è stato a lungo a piede libero, e il pronunciamento della Cpi è arrivato quando è il libico è giunto in Italia. Il ministro Nordio aveva tutte le ragioni per prendersi del tempo per valutarne le conseguenze. Come dicevo prima, non avendo una presenza militare questo avrebbe messo a rischio gli interessi dell’Eni, gli italiani che lavorano in Libia e la gestione dell’immigrazione, con la possibile ritorsione libica attraverso l’invio di migliaia di migranti. Nessuno considera questo aspetto, benché la sinistra ne sia perfettamente consapevole. Il governo ha fatto bene a valutare la situazione perché a noi era stata inviata una “bomba umana” e con il caso-Sala abbiamo visto che ci sono Paesi che su certe cose non scherzano. Insomma c’è un’ipocrisia pazzesca su tutto questo».

Si spieghi meglio.
«L’Italia ha enormi interessi economici in Libia e, dal momento che non siamo in grado di coprirli militarmente, saremmo dovuti cadere nella trappola che ci ha teso la Corte penale internazionale senza rifletterci sopra? Siccome il governo ha fatto giustamente una riflessione su tutto questo, guarda caso vengono sparati avvisi di garanzia a raffica. Siamo di fronte a un’operazione gravissima di uso politico della giustizia, con un conflitto di interessi nella magistratura relativo all’opposizione dei giudici alla riforma della separazione delle carriere».

La Corte penale internazionale ha voluto colpire l’Italia?
«In Libia ci sono interessi economici enormi, non sono molti che gradiscono la presenza dell’Eni e dell’Italia nel Paese, e questa presenza noi non siamo in grado di difenderla perché non siamo presenti con le forze armate».