Una soluzione

Processi infiniti: assoluzione piena? Va eliminato l'appello

Francesco D'Amato

Non lo sto scrivendo io, ma lo ha scritto ieri sulla Stampa l’ex capo della Procura della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati. Lo ha scritto commentando l’assoluzione di Matteo Salvini a Palermo, ma un po’ anche quella dell’altro Matteo -Renzi- a Firenze. “Il processo è una pena, ma la lentezza è una pena doppia”.

Lenti, lentissimi sono stati il processo a Salvini per il sequestro di 147 migranti, contestatogli dall’accusa per essere stati trattenuti più di cinque anni fa per una ventina di giorni sulla nave spagnola Open arms, e l’udienza preliminare - ripeto: l’udienza preliminare, senza neppure il rinvio al giudizio - a carico di Matteo Renzi e amici accusati di avere praticato con la fondazione Open il finanziamento illegale della loro corrente, praticamente travestita da partito. O viceversa, come preferite.

Il processo a Salvini, dopo l’inchiesta e l’autorizzazione del Senato concessa per la disinvolta decisione del Movimento 5 Stelle di ritirare all’ex ministro dell’Interno la copertura concessagli invece per un’analoga vicenda precedente del pattugliatore italiano Diciotti, è durato «oltre tre anni con sole 24 udienze», ha osservato Bruti Liberati. L’udienza preliminare contro Renzi e amici è durata oltre due anni e non ricordo bene quante udienze. Un’enormità, in entrambi i casi, che Renzi e Salvini, stavolta in ordine alfabetico, hanno subìto con una pena personale, familiare, mediatica e politica sopravvissuta al loro proscioglimento e assoluzione, rispettivamente. Questo in un sistema giudiziario impostato semplicemente sulla logica e sull’umanità, da non confondere con il lassismo, dovrebbe bastare e avanzare per indurre l’accusa a rinunciare a prolungare la pena dei prosciolti o assolti ricorrendo all’appello e poi, magari, anche alla Cassazione. E dovrebbe ridurre l’arroccamento giustizialista attorno alla barriera levata a suo tempo dalla Corte Costituzionale bocciando un tentativo di limitare il ricorso contro le assoluzioni. Neppure la Consulta, purtroppo, nell’ondata termidoriana della giustizia e della politica prodotta dal clima, a dir poco, delle “Mani pulite” di una trentina d’anni fa è riuscita a impermeabilizzarsi. Ne è stata travolta anch’essa.

Ora il rischio che corrono non solo Renzi, i suoi amici e Salvini, sempre in ordine rigorosamente alfabetico, ma l’intero Paese, con la maiuscola, è che la pena doppia dei tempi lunghicome l’ha chiamata Bruti Liberati venga metaforicamente triplicata e ancor più indicando nel proscioglimento del primo e nell’assoluzione del secondo la prova che il sistema giudiziario funzioni com’è. E non serva perciò alcuna riforma: dalla separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri al contrasto della degenerazione delle correnti della magistratura, e delle ricadute sulla composizione e sul funzionamento dell’omonimo Consiglio Superiore.

Se questo fosse o dovesse rivelarsi l’esito o il risvolto delle sconfitte subite dall’accusa in questa piacevole sorpresa trovata con qualche giorno di anticipo dai garantisti sotto l’albero di Natale, sarebbe una tragica beffa. Una specie di eterogenesi dei fini. Un omaggio non alla giustizia ma a chi la usa, anzi ne abusa in politica. Una smentita della speranza accesasi in qualche titolo di giornale - non di più - sulla fine della “via giudiziaria” alla lotta politica per fare nei tribunali ciò che non riesce nelle urne, o in Parlamento.

Ah, se l’accusa si passasse una volta tanto la mano sulla coscienza decidendo di lanciare finalmente un segnale di spontanea, volontaria distensione, chiamiamola così, dopo una così lunga stagione di avvelenamento dei pozzi della giustizia e dei suoi rapporti con la politica.