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Csm, toh: promossa la toga progressista Albamonte
Il Consiglio superiore della magistratura non finisce mai di sorprendere. Con un provvedimento che farà sicuramente discutere, ha bocciato questa settimana, per l'incarico di sostituto procuratore nazionale antimafia, il pm Stefano Luciani, attualmente uno dei magistrati più esperti di Cosa nostra e titolare dell’indagine sul depistaggio nell’inchiesta di Caltanissetta sulla morte di Paolo Borsellino. Al suo posto il Csm gli ha preferito il pm romano Eugenio Albamonte, ex segretario dell'Anm ed ex capo delle toghe progressiste, che in tutta la sua carriera non si è mai occupato di contrasto alle cosche siciliane e al terrorismo. A favore di Albamonte hanno pesato le sue competenze in materia di “cyber crime”. Peccato, però, che il Csm stesso nel bando per l’antimafia avesse indicato il possesso di requisiti totalmente diversi, come appunto una specifica esperienza nei processi contro la criminalità organizzata.
Anche perché è difficile poi svolgere il compito di coordinamento fra Procure, che spetta al sostituto procuratore nazionale antimafia, se di indagini antimafia non se ne è fatta nemmeno una. La richiesta di un esperto di “cyber crime” era stata avanzata direttamente da Giovanni Melillo, il capo dell’antimafia. Questo, però, prima che il Parlamento nelle scorse settimane stroncasse la possibilità che l’Antimafia potesse allargare le sue competenze proprio ai crimini informatici. «E poi cyber crime cosa vuol dire? Vuol dire aver delle competenze informatiche, che non spettano ad un magistrato e che per questo si affida ad un tecnico», ha ricordato il pm Dario Scaletta che per 20 anni ha lavorato all’antimafia di Palermo.
Durissimo contro i colleghi di Albamonte, invece, il giudice Andrea Mirenda. «Come è possibile parlare credibilmente di esercizio della discrezionalità tecnica quando si vota “come un sol uomo“ a favore del proprio ex segretario, ancora frequentatore delle stanze del Csm», ha affermato Mirenda, chiedendo ai colleghi di Albamonte come sia poi possibile che «un conflitto di interessi di tali dimensioni, tanto palese quanto imbarazzante, renda minimamente credibile l’attribuzione al “loro” candidato, l’unico del tutto privo di esperienze in antimafia, del punteggio massimo». La nomina di Albamonte, per la cronaca, è passata con un solo voto di scarto. Contrari tutti i componenti laici di centrodestra.
A dire il vero un’indagine in materia di antiterrorismo Albamonte l’ha fatta: quella contro l’ex brigatista Paolo Persichetti, coinvolto in passato nell'omicidio del generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri. Albamonte, a giugno del 2021, gli sequestrò il computer, i cellulari e persino i certificati medici di un figlio diversamente abile, accusandolo fra l’altro di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. L’accusa è stata successivamente cambiata undici volte. L’imputazione principale cadde quasi immediatamente. Il gip scrisse che non c’era un reato e non si sa se mai ci sarà. Albamonte, che lo scorso anno aveva fatto un intervento molto critico contro il governo e la riforma della giustizia, aveva allora ipotizzato la violazione del segreto in relazione ad atti della Commissione parlamentare sul caso Moro. Atti che segreti non erano perché pubblicati nel giro di sole 48 ore. Con la divulgazione avrebbe favorito Alessio Casimirri, condannato all’ergastolo per la strade di via Mario Fani e scappato in Nicaragua nel 1981 quando Persichetti aveva 19 anni e frequentava il liceo. Nei giorni scorsi Albamonte, comunque, ha chiesto l’archiviazione per Persichetti.