In attesa della Corte Ue

Centri in Albania, la sentenza sui migranti spaventa i pm anti-Meloni: voci dalla procura

Pietro Senaldi

Antefatto. Il governo vara un decreto ministeriale che consente di trasferire gli immigrati illegali salvati in mare in un centro costruito apposta in Albania, dove vengono trattenuti in attesa di accertare se vadano rimpatriati subito o abbiano diritto a ottenere l’asilo perché il loro Paese di origine non è sicuro. L’ufficio immigrazione della Procura di Roma di fatto vanifica la norma rifacendosi a una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4 ottobre scorso.

Il verdetto lussemburghese vieta il rimpatrio in base a criteri di sicurezza geografici, per esempio se in un’aerea del Paese c’è la guerra. I magistrati italiani estendono l’applicazione della sentenza ai casi in cui lo Stato d’origine dell’immigrato è insicuro per specifiche categorie di soggetti; per esempio, i gay, i perseguitati politici, o i rom, aggiungendo al criterio territoriale quello personale. Poi, anziché verificare se il singolo immigrato rientra tra le categorie a rischio, stabiliscono che, per vietare il rimpatrio, è sufficiente l’esistenza di un pericolo generico. Con questo stratagemma, le toghe rendono inattuabile la norma governativa. Ogni Stato di provenienza è infatti potenzialmente pericoloso, e questo consente loro di ordinare il trasferimento in Italia degli immigrati illegali portati in Albania.

 

 

 

Contro la sentenza, il governo vara un decreto legge in cui elenca i Paesi sicuri, come gli dà diritto di fare la normativa Ue. Inoltre, impugna presso la Cassazione la decisione dei pm romani. Nel frattempo, altri procuratori italiani fermano nuovi trasferimenti in Albania, promuovendo un ricorso presso la Corte di Giustizia Ue affinché chiarisca se il criterio di Paese a rischio è geografico o anche personale.

Risultato: l’operazione di trasferimento dall’altra parte dell’Adriatico degli immigrati illegali si blocca e l’opposizione accusa il governo di sprecare soldi pubblici e sfornare leggi sbagliate. Tutto questo avviene senza che si sia arrivati a una definitiva verità giuridica e con l’Unione Europea che approva l’iniziativa del nostro governo e annuncia un’imminente legge per copiarla. La realtà viene però manipolata dal mondo progressista, che nasconde la valenza politica dell’azione dei pm, ignora le volontà della Ue e fa la morale alla maggioranza.

Fatto. Oggi la Cassazione deve pronunciarsi sul ricorso dell’esecutivo, ma la Procura le chiede di non farlo e attendere il verdetto chiarificatore della Corte di Giustizia. La magistratura teme che gli ermellini le diano torto, scoprendone la strategia anti-governativa; pertanto attuano una tattica dilatoria, prendono tempo. Giuridicamente e politicamente la mossa ha una logica.

Stupefacenti però sono le motivazioni addotte dai pm che si oppongono al ricorso del governo. Essi infatti, pur di impedire alla Cassazione di pronunciarsi, arrivano a scrivere che la sentenza dei magistrati di primo grado, che pure difendono in giudizio, poggia su gambe traballanti. «Una sostanziale equiparazione tra l’insicurezza geografica e quella per categorie di persone non è automatica né convincente» affermano testuale. Da qui, la richiesta di soprassedere.

 

 

 

In altre parole, la Procura presso la Cassazione riconosce che lo stop alla politica migratoria del governo probabilmente va contro le norme Ue, ciononostante chiede di prorogarlo, incurante del fatto che non ha fondamento giuridico e ha il sapore di un’autoattribuzione da parte della magistratura di un potere che spetta alla politica.

Diritto e politica. La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea invocata dai nostri pm è solita lasciare agli Stati e non ai magistrati la parola finale su questioni di politica internazionale quale è l’indicazione dei Paesi sicuri. Questo avviene di prassi, e a maggior ragione in questo caso, con una direttiva Ue, inapplicata dai nostri tribunali, e un indirizzo della Commissione, ignorato dai medesimi, che danno ragione al nostro governo.

Morale: l’operazione politica delle procure pro immigrati, truccata da decisione umanitaria, sarà probabilmente smontata dalla stessa Europa che i nostri magistrati evocano per giustificare le proprie scelte. Loro sono i primi a saperlo ma puntano a rimandare il più possibile la decisione allo scopo di far fallire, prima mediaticamente e quindi nei fatti, la scelta albanese del governo. Benché essa sia legittima e condivisa dalla maggioranza degli italiani e dei nostri partner Ue.