Linguaggi

Politicamente corretto in tribunale: basta "uomini di legge", ora arriva l'avvocata

Giovanni M. Jacobazzi

Nella comunicazione istituzionale e nella redazione degli atti giudiziari serve un linguaggio che punti ad “oscurare” entrambi i generi, con scelte terminologiche “neutre” e che, prima di tutto, valorizzi il “femminile”. L’onda lunga del linguaggio “politically correct”, la vera sciagura del terzo millennio per chi fa il giornalista, pare essere arrivata anche all’Ordine degli avvocati di Padova. La scorsa settimana, il Coa della città di Sant’Antonio ha divulgato ai propri iscritti un opuscolo contenente delle linee guida per l’uso di frasi e parole rispettose dell’identità di genere nella stesura di provvedimenti giudiziari o nella comunicazione fra colleghi. Lo scopo dell’iniziativa, come ricordato dai vertici dell’Ordine patavino, è quello di giungere ad un’effettiva parità di genere nell’avvocatura. Con un linguaggio diverso, fanno sapere, la donna avvocato può finalmente ottenere nell’esercizio della professione il giusto rispetto e riconoscimento che merita. Serve un profondo «cambio di mentalità», hanno sottolineato gli autori delle linee guida, e deve riguardare in particolare le nuove generazioni di avvocati.

ERA UNA PRIORITÀ...
L’iniziativa dell’Ordine di Padova, dove è iscritto il vice presidente del Csm Fabio Pinelli, ha suscitato più di una perplessità. «Grazie presidente, era una priorità assoluta», ha commentato sulla pagina Facebook dell’Ordine l’avvocato Riccardo Bonsignorez. Ed in effetti concentrarsi sul linguaggio politicamente corretto quando l’avvocatura vive una delle crisi più profonde delle sua storia, con le iscrizioni alle Facoltà di giurisprudenza ridotte al lumicino e con il numero di avvocati che si cancellano dagli Ordini che supera quello dei nuovi iscritti, non pare essere proprio un tema da mettere ai primi punti dell’ordine del giorno. A Bari, per la cronaca, in cinque anni il numero dei candidati all’esame di abilitazione forense si è ridotto del 90 percento.

LE DONNE NON CI STANNO
La battaglia sul gender neutro è comunque destinata a scontrarsi con la realtà in quanto molte, a dispetto di tanti proclami, gradiscono continuare ad essere chiamate “avvocato” e non “avvocata” oppure “difensore” invece del cacofonico “difensora”. Anche la presidente del Tribunale di Padova, pur dando sostengo all’iniziativa, ha ricordato che negli atti istituzionali usa quasi sempre il “maschile”. Il meglio però è quando l’opuscolo affronta il termine “uomo” o “uomini”. Per gli autori sarebbe da «evitare come sostantivo generico descrittivo di una categoria in quanto nasconde la presenza del femminile». Come regola generale, la proposta è allora quella di sostituire, ove possibile, il termine “uomo” con equivalenti che includano persone dei due generi. Il risultato è: «Ingegno umano o degli esseri umani» piuttosto che «ingegno dell’uomo», «imprenditori» piuttosto che «uomini d’affari», «gente comune» piuttosto che «l’uomo della strada», «giuristi» al posto di «uomini di legge», «scienziati o persone impegnate nella ricerca» piuttosto che «uomini di scienza», «statisti» piuttosto che «uomini di Stato», «letterati» piuttosto che «uomini di lettere». Fino al dir poco surreale «accordo sulla fiducia» piuttosto che «patto tra gentiluomini». Un caso a sé, prosegue l’opuscolo, è rappresentato dall’espressione i «diritti dell’uomo» che rimane invariato nelle denominazioni ufficiali quali la «Corte europea dei diritti dell’uomo» e la «Convenzione europea dei diritti dell’uomo» (e nelle citazioni della giurisprudenza delle due corti). Almeno in questo caso l’uomo è salvo. Per il momento.