Ai raggi X

Stefano Musolino, il nuovo idolo dei giustizialisti che ama intercettare

G.M.J.

La stampa progressista ha un nuovo idolo: Stefano Musolino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario nazionale di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe. Caduto in disgrazia l’ex presidente dell’Anm Piercamillo Davigo a seguito di una imbarazzante condanna in primo e secondo grado, Musolino ne ha ormai preso il posto come opinionista in materia di giustizia sui giornali e nei talk show. Dagli studi di Piazzapulita, il programma condotto da Corrado Formigli su La7, il magistrato calabrese descrive spesso l’Italia come un Paese sempre più vicino alla Turchia di Erdogan, dove l’indipendenza dei giudici sarebbe compromessa dal governo di Giorgia Meloni. Durissime poi le sue prese di posizione in favore dei migranti e contro le leggi “securitarie” volute dalla maggioranza di centrodestra.

Classe 1968, Musolino è figlio di Michele, più volte sindaco socialista di Reggio Calabria nella Prima repubblica, a capo di coalizioni che spaziavano dal Pci alla Dc. A Michele Musolino, perla cronaca, è stata anche intitolata una strada in città. Prima di diventare magistrato, il frontrunner delle toghe di sinistra aveva fatto pratica forense presso lo studio dell’avvocato Nico D’Ascola, esponente di spicco dell’allora Popolo delle libertà a Reggio Calabria, poi senatore e presidente della Commissione giustizia di Palazzo Madama con il Nuovo centro destra di Angelino Alfano.

La sua carriera professionale fino ad oggi si è svolta tutta in Calabria: prima a Palmi e poi a Reggio. Per quei strani casi della vita, dopo aver vinto il concorso venne mandato a fare l’uditorato al palazzo di giustizia di Reggio dove, fra i pm della locale Procura, vi era un tale Luca Palamara che prima di diventare il ras indiscusso dei magistrati centristi aveva simpatizzato a lungo con i colleghi di Md. Da allora i due sono sempre rimasti in ottimi rapporti, anche se perla sinistra giudiziaria Palamara è da tempo il male assoluto.

 

Fra le inchieste di cui il suo ufficio si è occupato in questi anni non si può non citare “Eyphemos”, il maxi procedimento contro la cosche della ’ndrangheta e che aveva visto il coinvolgimento di alcuni politici, tra cui il senatore di Forza Italia Marco Siclari e l’ex sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte e consigliere regionale di FdI Domenico Creazzo. Il processo di primo grado si era concluso con 21 condanne e 30 assoluzioni, tra cui quelle di Siclari e Creazzo, accusati a vario titolo di scambio elettorale politico -mafioso. Creazzo era anche stato tenuto agli arresti domiciliari per 17 mesi.

Per capire la sostanziale disfatta di questa inchiesta è sufficiente leggere, se si ha tempo, le circa 2.000 pagine della sentenza di primo grado del febbraio dell’anno scorso. In quella sentenza i giudici scrivono, senza molti giri di parole, di essersi trovati davanti ad una «ipertrofia di materiale investigativo» e ad un «sorprendente quantitativo di intercettazioni».

 

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Molte delle intercettazione “chiave”, come quelle in cui Creazzo avrebbe appunto chiesto i voti alle cosche, erano state però trascritte male, riportando frasi nelle realtà mai pronunciate. «Ogni volta che il contenuto non è chiaro è solo perchè ritenuto criptico e dunque di contenuto illecito», puntualizzavano i giudici, sottolineando come i boss avessero invece fatto campagna elettorale in favore di altre persone.