Alexandro Maria Tirelli: "Caso dell'avvocatessa incinta, il giudice ha mortificato diritti e principi"

Simone Di Meo

Nell’epoca delle pari opportunità e del «girl power» c’è chi sostiene, invece, che una libera professionista, in stato di gravidanza, farebbe meglio a stare a casa senza coltivare eccessive ambizioni lavorative. Insomma, il più classico dei dilemmi declinati al femminile: famiglia o carriera? A sottolinearlo, richiamando addirittura la «consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione», è il presidente del Tribunale di Venezia, Salvatore Laganà, che ha già assolto la giudice che, come raccontato da Libero nei giorni scorsi, ha rigettato il rinvio di un’udienza, richiesto da un’avvocatessa incinta impossibilitata a presenziare in aula, condannando i due imputati lasciati senza difensore di fiducia nell’udienza decisiva. Per l’alto magistrato, la decisione della toga lagunare sarebbe «immune da qualsiasi censura» perché la nomina della penalista Federica Tartara sarebbe giunta a conclusione di un tortuoso iter che avrebbe visto l’avvicendarsi di altri sei legali. La colpa, insomma, sarebbe solo della professionista considerato che «l’impedimento del difensore era già esistente e conosciuto al momento dell’accettazione della nomina». Al più, concede sempre Laganà, la Tartara avrebbe potuto nominare un suo sostituto.

Parla, invece, di mortificazione dei «diritti dell’avvocatura» e dei «principi inviolabili della maternità e dell’uguaglianza» l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale. «Nulla, nella legge, limita la possibilità di una avvocatessa incinta di assumere incarichi, e suggerire il contrario sarebbe non solo discriminatorio, ma in palese contrasto con i principi costituzionali», spiega Tirelli al nostro giornale, oltre a «trasformare la maternità in un deficit». Quanto alla possibilità di lasciare l’arringa difensiva a un altro collega, Tirelli è categorico: «Il presidente sembra ignorare un aspetto essenziale: la nomina dell’avvocatessa Tartara è avvenuta proprio per discutere le conclusioni, momento apicale del contraddittorio processuale. In questo contesto, la pretesa di indicare un sostituto appare priva di logica».

Nella sua analisi, Laganà si è soffermato sulla «semplicità» del processo. Per Tirelli si tratta di «affermazioni che tradiscono una visione riduttiva». E questo perché «il nostro codice di procedura penale non distingue tra cause semplici e complesse, e non spetta al giudice effettuare simili valutazioni. Pretendere che un sostituto, senza adeguata preparazione sul fascicolo, potesse sostenere l’udienza è una lesione evidente al diritto di difesa». «Ricordiamo che tutto ciò che non è vietato è lecito: questo è il fondamento dello Stato di diritto», prosegue Tirelli. «Illegittimo impedimento, sancito dalla legge, è un presidio a tutela della difesa e, per estensione, del processo stesso. Un breve rinvio non avrebbe intaccato in alcun modo la sostanza del procedimento, né inciso sulla prescrizione. Invece, la decisione adottata ha calpestato il principio fondamentale di equità».

Toccherà ora al Csm eventualmente prendere provvedimenti nei confronti della magistrata. «Ciò che emerge da questa vicenda è un attacco sottile ma tangibile alla dignità dell’avvocatura e, in particolare, delle donne che la esercitano», aggiunge Tirelli. «Dove sono finite, in questa storia, la moderazione, l’empatia, l’ascolto attivo e la neutralità emotiva?», si chiede il presidente delle Camere penali internazionali. «Questi valori, essenziali per un giudice, sembrano essere stati accantonati. Un magistrato ha il dovere di essere servus legis, applicatore e non interprete arbitrario della legge», conclude Tirelli. «Le regole sono chiare: la tutela della maternità non è facoltativa, ma obbligatoria». Girl power, ma non troppo.