l'intervista

L'ex giudice Cuno Tarfusser: "Le toghe sbagliano, l'Italia può stabilire i paesi sicuri"

Pietro Senaldi

 «Sono amareggiato del fatto di essere contento di essere in pensione da due mesi». Esiliato nell’ultimo quinquennio negli uffici della Procura di Milano, dove ha vissuto mal sopportato «da dirigenti inadeguati», aggiunge, l’altoatesino Cuno Tarfusser è stato un magistrato molto importante, per undici anni giudice della Corte Penale Internazionale dell’Aja. Oggi, dal suo buen retiro, osserva lo scontro tra giurisdizione e governo sulla questione degli immigrati irregolari da trasferire nei centri di accoglienza in Albania, progetto che dice di non condividere, aggiungendo però che su questo ognuno può avere la propria idea, anche un giudice. «Quel che conta è che l’opinione personale non abbia mai un peso nella decisione del magistrato».

Dottore, l’Italia ha diritto di stabilire quali sono i Paesi sicuri e quali no?
«Certo lo prevede la direttiva europea numero 32 del 2013, che detta le regole e le procedure comuni agli Stati membri ai fini del riconoscimento o della revoca della protezione internazionale. L'articolo 37 della norma lascia a ogni nazione la possibilità di designare i Paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, tenuto conto dei criteri base stabiliti dall’Unione, e la comunichi, con il solo obbligo di riesaminare periodicamente la sussistenza dei requisiti di sicurezza».

Il Tribunale di Roma però ha vanificato la norma del governo, appellandosi a una sentenza della Corte di Giustizia Europea del mese scorso...
«A mio avviso non c’erano i presupposti giuridici per farlo. Il Tribunale ha infatti affermato che il Governo aveva dichiarato Paesi sicuri, tra gli altri, l'Egitto e il Bangladesh, ad eccezione per i migranti appartenenti alla comunità Lgbtq+, in quanto perseguitati in patria».

Cosa che in effetti è...
«Sì, ma su questo punto il Tribunale ha preso a riferimento una recente sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che ha sancito, in modo vincolante, che un paese non può essere, cito dalla sentenza, “designato come Paese sicuro qualora talune parti del suo territorio” non siano da considerare sicuro».

E perché questo sarebbe sbagliato?
«La Corte ha sostanzialmente detto che uno Stato membro non può frazionare territorialmente un Paese, dichiarando sicuro una parte e non sicura un’altra parte. Mi sembra evidente, quindi, che il richiamo da parte del Tribunale di Roma a questa sentenza per fondare la non convalida del trattenimento dei migranti portati in Albania sia del tutto fuori luogo in quanto la Corte Europea si riferisce a un elemento oggettivo, il territorio. Nel caso del Bangladesh e dell'Egitto invece la questione non è affatto territoriale ma riguarda l'appartenenza della persona alla comunità Lgbtq+, ovvero un elemento soggettivo, che sarebbe stato necessario provare prima di vietare il rimpatrio».

Mi spieghi meglio, dottor Tarfusser: c’è stato un escamotage giuridico?
«A mio parere, più che di escamotage, si è trattato di un grave errore. Questo emerge evidente dall'ordinanza con cui il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia gli atti relativi a un altro caso, chiedendo alla Corte proprio se anche la persecuzione di minoranze sia un ostacolo alla designazione di un Paese come sicuro».

Però è vero che in Bangladesh e in Egitto ci sono minoranze perseguitate, come i gay, gli oppositori politici, i cristiani...
«Sì, ma l'essere il singolo migrante appartenente a una di queste categorie va provato di volta in volta, almeno sotto un profilo indiziario e sintomatico. Di tutto questo non vi è invece traccia nelle ordinanze del Tribunale di Roma, che si è, in sostanza, attribuito un potere che non ha, ovvero di dichiarare Paese non sicuri il Bangladesh e l'Egitto».

È legittimo il ricorso del magistrato di Bologna che, dopo il decreto del governo, si è rivolto alla Corte Europea?
«Assolutamente legittimo, perché si rivolge al giudice europeo per chiedere lumi sull'interpretazione della direttiva 23 del 2013.Penso però anche che non fosse strettamente necessario, nel senso che la risposta della Corte mi sembra del tutto prevedibile: sentenzierà che la designazione di Stati sicuri, con la riserva soggettiva da accertarsi caso per caso, è in linea con la direttiva. Le do uno spunto per una riflessione: perché la manifestazione di solidarietà dell'Anm si è svolta a Bologna e non a Roma? Secondo me perché Roma ha sbagliato, Bologna no».

Come finirà allora?
«La materia, tra normative nazionali e internazionali e giurisprudenze di ogni tipo, è talmente fluida che si presta a interpretazioni orientate anche dalla cultura politica di ciascuno e quindi anche dei magistrati. D’altronde, il diritto non è una scienza esatta ma un’opinione...».