concezione tolemaica

Magistratura, il difetto di vista di certe toghe che si sentono il sole al centro della politica

Francesco Damato

Eppure, anche quando gli sento dire in televisione o ne leggo sui giornali cose che non condivido, come quell’aggettivo “progressista”, con tutta la valenza politica ch’esso ha assunto, applicato alla Costituzione parlandone di recente con Mario Sechi, non riesco a perdere una certa simpatia per Giuseppe Santalucia. Che è il presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati, cioè del sindacato delle toghe: la più pugnace ormai fra tutte le associazioni sindacali. Più ancora della Cgil di Maurizio Landini, con tutto il rosso delle sue bandiere.

Santalucia mi è e mi rimane simpatico per quell’aria mite, educata e quant’altro che continua a mostrare anche quando esprime e teorizza concetti assai aspri nella loro sostanza. Per quella sobrietà fisica, diciamo così, che lo mette al riparo dall’ironia di qualcuno emulo a destra del Marco Travaglio che scrive del ministro della Giustizia come di “Mezzolitro Nordio”. Per quella somiglianza, anch’essa fisica, col mio amico editore, catanese pure lui, Mario Ciancio Sanfilippo. Il quale con i suoi 92 anni potrebbe essere scambiato per il padre del presidente dell’associazione dei magistrati, che di anni ne ha compiuti solo 60, dei quali 35 trascorsi nella carriera giudiziaria.

Ma soprattutto Giuseppe Santalucia mi è simpatico per quel cognome che porta, della protettrice degli occhi. E per l’impossibilità che ha, per quanto sforzi volesse compiere, e forse già compie da tempo dietro le quinte delle sue dichiarazioni di difesa ad oltranza dei magistrati, di fare recuperare la vista a quanti ne mancano, o ne difettano. Come nel caso di quella toga che ha appena indicato nella premier Giorgia Meloni un “pericolo” da contrastare, scrivendone in una mail intercettata, diciamo così, da una premier comprensibilmente sgomenta e finita sui giornali. O almeno in quelli che non hanno voluto imbavagliarsi nella loro azione di sistematica copertura dei magistrati, anche quando costoro la fanno così grossa da non poterla coprire, come diceva la buonanima di Amintore Fanfani di certi amici democristiani che incorrevano nella sua attenzione critica.

 

 

BAVAGLI E TOGHE ROSSE
Ai giornali dell’autobavaglio non piace neppure l’immagine delle “toghe rosse”, se non specificatamente “comuniste”, come preferisce dire Matteo Salvini. Ma “toga rossa” se la diede impietosamente e meritoriamente da solo in un libro di tanti anni fa Francesco Misiani, tra i fondatori di Magistratura democratica, come ancora si chiama la corrente più a sinistra delle toghe. Un libro scritto a quattro mani con Carlo Bonini, che ancora si occupa di cronaca e materia giudiziaria. E continuerà a occuparsene a lungo, avendo solo 57 anni che gli auguro sinceramente di raddoppiare, quanto meno. Ecco, questa di non scorgere e capire la propria storia culturale, oltre che professionale, fa parte di quella mancanza o di quel difetto di vista che lamentavo nei magistrati. E che temo- ripeto- non riuscirà a curare e guarire neppure Santalucia, anche con quel benedetto cognome che porta. Una mancanza o un difetto di vista che contribuisce a fare sopravvivere in tante toghe una concezione tolemaica del loro ruolo nelle istituzioni, che dovrebbero girare attorno alla magistratura come una volta si pensava che tutto l’universo ruotasse attorno alla terra, e non al sole, come poi fu scoperto e ammesso.

Il sole nel nostro caso non è il governo, della Meloni o di chiunque altro, come pensano certi magistrati dalle parole e dai comportamenti oppositori, mala Costituzione. Che non è “progressista”, per tornare al pur simpatico presidente del sindacato delle toghe, ma semplicemente repubblicana. E, se proprio le si vuole dare anche un altro aggettivo, “parlamentare”. «La sovranità dice nel suo primo articolo la Costituzione- spetta al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» stessa della Repubblica, appunto, parlamentare. Di un Parlamento eletto dai cittadini che hanno “tutti” il diritto, riconosciuto dall’articolo 49, di «associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Ripeto: la politica. Che per questo ha una priorità, e preminenza, o prevalenza disattesa da una trentina d’anni di pratica esondativa della magistratura, ora anche in materia di migranti e contorni.