Verminaio
Caso Arianna Meloni, la maggioranza deve ribellarsi all'assordante silenzio sulla vergogna dossieraggi
Caro Direttore, avendo alle spalle vicende come Mani Pulite (92-94) e tutto il decennio (1994-2011) fondato sull’alternativa alla italiana fra la coalizione berlusconiana e la coalizione anti-berlusconiana, possiamo dire che l’uso politico della giustizia è stato assolutamente centrale in tutti questi anni.
Tuttavia le trame di quegli anni si sono svolte sulla base di atti processuali che a loro volta mettevano in moto meccanismo inquisitori, intercettazioni di varia intensità (uso o meno del Trojan), con il lavoro della polizia giudiziaria. Molto spesso tutto ciò ha avuto impostazioni politiche unilaterali e martellanti violazioni del segreto istruttorio. In sostanza tutto ciò si è svolto sulla base di vicende processuali di cui era possibile cogliere le motivazioni e le origini.
Ad un certo punto però c’è stato una sorta di salto di qualità, che ha dominato per alcuni giorni le pagine dei giornali, che caro direttore non è sfuggita alla sua attenzione (lei ricorda nel suo articolo di ieri «Il caso di Pasquale Striano, il finanziere che consultava le banche dati riservate dello Stato, i cui risultati poi finivano non casualmente sui giornali») che però, malgrado la sua straordinaria gravità da molto tempo è scomparso dagli schermi. Ritorniamo sul tema che fu definito dal magistrato competente Raffaele Cantone, procuratore della Repubblica di Perugia «un verminaio». La ragione della gravità del caso è che non ci troviamo di fronte a forzature da parte della magistratura ma ad atti così penetranti di accertamento dei dati che non derivano da nessuna richiesta della magistratura. Questo vuoto però è stato riempito, non si sa con quali mandanti, da un ufficiale della Guardia di finanza che ha effettuato migliaia di questi accertamenti irregolari in quello che dovrebbe essere una sorta di Sancta Santorum dello Stato, vale a dire la banca dati dell’antimafia.
Questo finanziere ha fatto migliaia di queste intromissioni e per qualche centinaio di casi lo ha fatto a favore di giornalisti amici, allo stato identificati nei giornalisti d’inchiesta del Domani. Questa seconda faccia della medaglia, però, come rilevano Brunella Bolloli e Rita Cavallaro nel libro Il Verminaio, mostra come «in quella cabina di regia, fucina dei dossier passati ai giornalisti, sono stati spiati i protagonisti della scena politica nei momenti più determinanti della storia del Paese. Dal dossier Colle, per fermare la candidatura a capo di Stato di Silvio Berlusconi prima e di Maria Elisabetta Casellati dopo. L’interesse smodato per i personaggi di primo piano del partito di Matteo Salvini e la ricerca frenetica sul governo di Giorgia Meloni, con la caccia ai ministri e ai sottosegretari». Aggiungiamo ai nomi fatti dalla Bolloli e dalla Cavallaro anche i nomi di Renzi e di Conte, entrambi dei battitori liberi. Invece non è mai apparso alcun nome di dirigenti del Pd che evidentemente fanno parte dell’establishment autentico di questo Paese. In ogni caso però i nomi con una caratura politica sono stati al massimo un centinaio. Risulta invece che “la macchina Striano” ha macinato migliaia di nomi: che fine hanno fatto? Comunque su tutto ciò avrebbero dovuto vigilare due magistrati: il capo diretto di Striano era il pm Antonio Laudati, del quale in effetti sono state trovate tracce per alcuni casi specifici, e poi, più in generale, in quel periodo il procuratore dell’Antimafia era Federico Cafiero De Raho.
Per quello che riguarda quest’ultimo, siamo di fronte ad un paradosso straordinario: nel frattempo Cafiero De Raho ha cambiato mestiere, è stato eletto parlamentare dai grillini, e, caso strano, è diventato vicepresidente di quella commissione parlamentare antimafia che dovrebbe prendere di petto l’intera gravissima questione. Al contrario allo stato attuale la commissione parlamentare antimafia, presieduta dall’onorevole Chiara Colosimo di Fratelli d’Italia, si sta rivelando un autentico porto delle nebbie. Mentre un totale silenzio viene osservato anche dalla magistratura inquirente.
Caro direttore, Lei, nel suo articolo di ieri, «Il reato di sorellanza», ha tracciato un quadro assai inquietante. Mi permetto, però, di avanzare questo interrogativo: è evidente che alcune forze politiche, il cui ristretto gruppo dirigente da sempre fa parte dell’establishment reale di questo Paese non sono interessate ad accertare le caratteristiche di questa autentica Spectre.
L’interesse opposto, cioè di accertare tutta la verità, dovrebbe invece essere di tutte quelle forze di destra, di centro e anche di sinistra che di questo establishment non fanno parte. Perché esse tacciono? Sono vittime di intimidazione o sono affette da dabbenaggine?
di Fabrizio Cicchitto
Presidente ReL Riformismo e Libertà