Riforma della Giustizia

Giustizia, un audio di Giovanni Falcone smonta le balle delle toghe rosse

Giovanni M. Jacobazzi

Giovanni Falcone, al contrario di Paolo Borsellino, non ha figli che possano difendere la sua storia. A differenza del collega, morto anch’egli nella terribile estate stragista del 1992, il racconto della sua memoria è quasi sempre stato affidato ai colleghi che quando era in vita l’avevano, nel migliore dei casi, osteggiato in ogni modo.

In questi giorni il magistrato siciliano è tornato agli onori delle cronache a proposito della riforma della separazione delle carriere. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervenendo in conferenza stampa lo scorso mercoledì dopo l'approvazione del ddl che ha diviso i percorsi professionali di pm e giudici, ha affermato di avergli reso in tal modo “omaggio”. Le frasi di Nordio sono state subito bollate come fake news.

«Ho davanti agli occhi la tomba di Falcone a San Domenico e sento che si sta rivoltando dentro...», ha detto l’ex procuratore antimafia ed ex presidente del Senato Pietro Grasso (Pd).

 

 

Per Grasso, «purtroppo in questi anni è stata sventolata, più e più volte, la bandierina di attribuire a Falcone tesi che a lui non sono mai appartenute, con l'obiettivo di conquistare una qualche credibilità». «Falcone», ha aggiunto Grasso, «non sposava certe tesi, ma interveniva su una polemica già allora in atto sulle funzioni del pm per come veniva ridisegnato dalla riforma Vassalli del 1989».
Durissimo Alfredo Morvillo, magistrato in pensione e cognato di Falcone: «Carlo Nordio deve lasciar riposare in pace i morti». «È il solito giochetto: usano il nome di Falcone come prova della bontà delle loro tesi: Giovanni era contrario alla separazione delle carriere. Semmai era un sostenitore della cosiddetta separazione delle funzioni o quantomeno della necessità di una specializzazione per l’ufficio del pubblico ministero».

Per conoscere il vero “Falcone pensiero” è utile allora andare su Radio Radicale ed ascoltare la registrazione del suo intervento al convegno organizzato a Catania il 28 luglio del 1988 da Mondo Operaio. «Non è pensabile», disse Falcone, «né logicamente plausibile in un codice che accentua vistosamente le caratteristiche di parte del pm pensare che le carriere dei magistrati del pubblico ministero e quelle dei giudici potranno rimanere ancora a lungo indifferenziate».

Concetto quanto mai chiaro che stride con quanto affermato da Grasso e Morvillo e che venne poi ribadito in una intervista che il magistrato rilasciò al giornalista di Repubblica Mario Pirani il 3 ottobre del 1991. Nell’intervista Falcone affermava che il «nuovo processo», basato sul «sistema accusatorio», richiedeva che il pm non avesse «alcun tipo di parentela col giudice», e che non fosse una specie di «para giudice». Per Falcone il modello accusatorio era contraddetto dal fatto che «avendo formazione e carriere unificate con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm» fossero «in realtà indistinguibili gli uni dagli altri». Fino all’amara conclusione: «Chi come me ritiene invece che siano due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il pm sotto il controllo dell’esecutivo». Oltre a dimenticare dunque il vero pensiero di Falcone, ci si dimentica anche dell’ostracismo che subì professionalmente.

Nel 1987 Antonino Caponnetto, il quale aveva ricoperto l’importante ruolo di capo dell’Ufficio istruzione di Palermo si dimise per tornare a Firenze. Sembrava scontato che a succedergli dovesse essere proprio Falcone, in quel momento il magistrato più esperto di mafia. Eppure, incredibilmente, in un drammatico Plenum il 19 gennaio del 1988 il Csm preferì a Falcone il giudice Antonino Meli, presidente di sezione della Corte d’Appello di Caltanissetta, magistrato sessantottenne e alle soglie della pensione e che mai aveva fatto il giudice istruttore. Meli evidentemente molto meno esperto di Falcone in merito alle indagini sulla mafia era poi assolutamente contrario alla centralizzazione delle inchieste su Cosa Nostra e dunque all’attività del pool antimafia ideato da Rocco Chinnici e portato avanti da Caponnetto. Meli venne eletto con 14 voti, 10 contrari e 5 astenuti.

 

 

Determinanti furono i voti della corrente di sinistra di Magistratura democratica, ad iniziare da quello di Elena Paciotti che poi diventerà presidente dell’Anm e quindi parlamentare degli allora Democratici di sinistra. «Meli non conosce la materia. Il pool nei confronti della lotta a Cosa Nostra, ormai identificata come associazione criminale e conosciuta nei suoi schemi psicologici e nelle sue ramificazioni territoriali, è smantellato», dirà in una intervista Borsellino.

Nel dicembre del ’91 a Falcone verrà aperta poi una pratica al Csm a seguito anche di una affermazione di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, riguardo una sua presunta eccessiva prudenza sulle indagini circa i presunti livelli politici della mafia. Ma lo smacco peggiore arriverà qualche mese dopo. Falcone aveva fatto domanda da procuratore nazionale antimafia, posto di nuova istituzione, e venne chiamato in audizione al Csm il 24 febbraio 1992. Il 12 marzo successivo, sull’Unità, apparve un articolo feroce di Alessandro Pizzorusso, professore di diritto e componente laico del Csm eletto su indicazione del Pci.

«Falcone è troppo legato al ministro Martelli (Claudio, ministro socialista della Giustizia che aveva nominato l’anno prima Falcone capo dell’Ufficio affari penali di via Arenula, ndr) per poter svolgere con la dovuta indipendenza un ruolo come quello». E ancora: «Non si sa bene se è Falcone che offre la penna a Martelli o Martelli che offre la sua copertura politica».

Falcone morirà prima della decisione del Csm. «Voi avete fatto morire Giovanni Falcone, voi con la vostra indifferenza, le vostre critiche», dirà Ilda Boccassini alla commemorazione funebre nell’aula magna del palazzo di giustizia di Milano. «Non potrò mai dimenticare quel giorno a Palermo, due mesi fa, quando a un’assemblea dell’Associazione magistrati le parole più gentili per Giovanni, soprattutto da sinistra e da Magistratura democratica, erano di essersi venduto al potere».