L'inchiesta ligure
Giovanni Toti, una follia tenerlo ancora agli arresti
L’interrogatorio è fatto. Il tema adesso per Giovanni Toti è il ritorno in libertà e tutto ciò che a esso conseguirebbe. Alla domanda dei cronisti davanti al tribunale sui tempi della revoca degli arresti, Stefano Savi, l’avvocato del governatore ligure, ha risposto con un sorriso: «Li vorrei sapere anch’io». Nei fatti, il legale non ha ancora deciso quando presenterà l’istanza di cancellazione delle misure di interdizione che costringono in casa il suo assistito. Qualcosa fa pensare che la richiesta non sarà immediata.
L’interrogatorio di giovedì è andato relativamente bene. Si è svolto in un clima cordiale e il presidente della Regione ha potuto esporre le proprie difese, sia contestando gli addebiti nei fatti, sia illustrando la propria filosofia politica e amministrativa; male parti sono rimaste ben distanti.
Toti ha spiegato di aver sempre cercato di aiutare tutti coloro che potevano concorrere allo sviluppo della Liguria, indipendentemente dal fatto che fossero o meno suoi finanziatori, e lo ha provato con una lunga lista di nomi e cognomi. Ha rivendicato la trasparenza dei bonifici ricevuti, che peraltro nessuno gli contesta, e il fatto che essi siano avvenuti in concomitanza con le scadenze elettorali e non con i suoi interessamenti per agevolare i procedimenti burocratici e la messa a terra delle decisioni dell’Autorità Portuale. I pubblici ministeri però hanno una visione opposta e leggono qualsiasi comportamento, anche una semplice telefonata, per sveltire i tempi della proroga trentennale della concessione del Terminal Rinfuse, come una prova di corruzione. La revoca degli arresti spetta al giudice preliminare, Paola Faggioni, mala storia dice che la toga è piuttosto adesiva alle indicazioni della Procura, che al momento non sembra essersi particolarmente ammorbidita. Lo dimostra la recentissima conferma delle misure interdittive a carico dell’amministratore Francesco Moncada, ex consigliere d’amministrazione di Esselunga, malgrado questi abbia presentato domanda dopo essersi dimesso.
L’ISTANZA DI REVOCA
Siccome l’istanza di revoca degli arresti non può essere presentata ogni settimana, è evidente che una sua eventuale bocciatura spingerebbe molto in là nel tempo il ritorno in libertà di Toti, soprattutto perché egli non pare considerare l’ipotesi lasciare, mossa che cambierebbe il quadro e lo riporterebbe al mondo. Meglio allora pazientare un po’ adesso, nel tentativo di dissodare il terreno e nella speranza che i magistrati si convincano almeno in parte delle ragioni dell’indagato eccellente. Meglio anche lasciare passare il voto per le Europee, alle quali ormai mancano due settimane; non che esso c’entri alcunché con l’inchiesta di Genova, ma il ruolo politico di Toti, una delle bandiere della buona amministrazione del centrodestra, non aiuta i pm a cambiare linea.
Deve cadere la foglia, ed è probabile che Savi presenterà l’istanza almeno tra una decina di giorni, anche perché la pubblica accusa ha fatto sapere ieri che l’indagine non è ancora conclusa e altri testimoni vanno ascoltati, il che è un chiaro invito, motivato peraltro giuridicamente e non politicamente, anon accelerare i tempi. Non è però solo una questione di sabbia che deve scorrere nella clessidra. Toti ha risposto a ogni domanda in maniera esaustiva e non ha negato i fatti né le telefonate, li ha però contestualizzati, tradotti e motivati per dimostrare che non si tratta di reati ma di attività politica. Questo per i magistrati significa che l’indagato non ha confessato, in quanto non ha fatto atto di umile penitenza bensì ha presentato un’orgogliosa difesa.
MANCA LA PISTOLA FUMANTE
È una distanza tra le parti che non si colmerà mai. Il punto però è che per mantenere gli arresti serve la sussistenza dei loro requisiti giuridici. Durante l’interrogatorio i magistrati non hanno portato nuove contestazioni, pertanto le accuse restano cristallizzate; manca la cosiddetta pistola fumante estratta dal cassetto all’ultimo per rilanciare la linea offensiva. Ma vediamoli, questi presupposti.
Il pericolo di fuga è inesistente a parere di tutti. Restano la continuazione del reato e l’inquinamento delle prove. Per quanto riguarda la concessione Rinfuse, il cambio di destinazione di parte della spiaggia pubblica di Celle Ligure e anche la corruzione elettorale sul voto della comunità dei riesini, i reati contestati si sarebbero già consumati e non sono ripetibili, anche perché ormai è improbabile che tra due anni il governatore si candidi a un terzo mandato. Quanto all’inquinamento delle prove, una volta escussi tutti i testimoni, e quindi chiusa l’indagine, è impensabile che Toti, con gli occhi dell’Italia intera addosso e la probabile imminenza di un rinvio a giudizio, possa agire in tal senso. Non è un kamikaze.
E allora, un’eventuale risposta negativa all’istanza di scarcerazione a giugno inoltrato rischierebbe di essere letta maliziosamente come una decisione politica della Procura, in quanto potrebbe avere ricaschi decisivi sugli equilibri nella giunta Regionale.
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CLAMORE MEDIATICO
D’altronde, fin dal primo momento in tanti hanno avanzato il sospetto che sarebbe bastato un avviso di garanzia e che la misura degli arresti fosse eccessiva, decisa per ottenere il massimo clamore mediatico. Quanto poi al rischio di determinare le dimissioni del governatore, una crisi della giunta, il voto anticipato e lo stop alle grandi opere previste per Genova, questo era calcolato, se non addirittura sperato.
Ciò che ha sorpreso tutti è stata la tenuta, psicologica e fisica, del grande indagato e la sua determinazione a non abbandonare la Liguria, malgrado questo faciliterebbe la sua difesa personale e si tradurrebbe in una revoca immediata degli arresti. Quanto può ancora durare però la detenzione, quanto è difendibile giuridicamente, ma anche mediaticamente e politicamente, senza nuove prove, a indagine finita e con i fatti contestati dai pm ammessi, anche se rivisitati dall’indagato non come non addebiti? Poco.
L’ostacolo maggiore per la rimessa in libertà è però proprio il ruolo di Toti da governatore. È una carica elettiva che la magistratura può fermare solo con gli arresti e non può essere sottoposta a misure di interdizione mediane, come quella per esempio che vieta a Roberto Spinelli di recarsi in ufficio. Il presidente di Regione indagato, se a piede libero, ha totale agibilità politica. Toti potrebbe così tornare a governare con pieno mandato in attesa dei tempi della giustizia e che la vicenda si sgonfi processualmente. D’altronde, così hanno fatto tanti suoi colleghi eccellenti, dall’emiliano-romagnolo Stefano Bonaccini al lombardo Attilio Fontana, tanto per citarne due, inquisiti, dileggiati (per la verità molto più il secondo del primo) e poi assolti: la loro vita politica non è finita solo perché hanno saputo resistere, sorretti dalla convinzione della propria innocenza, da una pazienza biblica e dall’appoggio delle loro maggioranze. Toti i primi due elementi li ha: gli alleati devono fornirgli il terzo.