Magistrato scomparso nel 2018

Chico Forti, quando Imposimato disse: "È un orrore giudiziario"

Alessandro Dell'Orto

Chico Forti non c’entra nulla con la morte di Dale Pike - per la quale è stato condannato all’ergastolo, pur dichiarandosi da sempre innocente, ed è stato rinchiuso per 24 anni in carcere in Florida-, e soprattutto non ha avuto un giusto processo a Miami. A pensarlo, e dirlo chiaramente, non è stato solo Bradley Pike, fratello della vittima («Hanno detto che l’assassino è lui, ma io non lo credo. E penso che sia anche solo ridicolo pensare che lui abbia pianificato l’omicidio: aveva troppo da perdere. È davvero un tragico errore», disse nel 2020 a Le Iene), ma anche Ferdinando Imposimato, primo legale di Chico nel 2000.

Il magistrato, morto il 2 gennaio 2018, non aveva dubbi e lottava per dimostrare l’estraneità del suo assistito. «Questo è un caso sconvolgente - aveva spiegato in un’intervista perché Chico Forti è stato vittima non solo di un errore giudiziario, ma di un orrore giudiziario. Contro di lui non ci sono prove e non ci sono indizi. Quando è stato chiamato era già indagato, quindi doveva essere avvertito della facoltà di non rispondere e doveva essere invitato a nominare un difensore. In secondo luogo gli hanno fatto un capo d’accusa che è completamente sbagliato, generico, contraddittorio, illegittimo perché prima hanno detto che era accusato di aver materialmente e personalmente ucciso Dale Pike e poi, quando lui ha dimostrato che nell’ora del delitto si trovava in un altro posto, hanno cambiato l’imputazione. Questo non si può fare».

 

 

 

Imposimato - che nel 2013 e nel 2015 era stato sostenuto per l’elezione a Presidente della Repubblica dal Movimento 5 Stelle - aveva spiegato nei dettagli come era stato “incastrato” Chico. «Il capo di imputazione è il pilastro dell’accusa, se è sbagliato il capo d’imputazione è sbagliato tutto il processo. A lui è stato contestato, insieme all’omicidio volontario, un concorso nella truffa e un concorso nella circonvenzione di incapaci. Hanno detto che avrebbe truffato il padre della vittima e lo avrebbe circonvenuto perché era incapace di intendere e di volere. Da quest’accusa Chico Forti è stato prosciolto in istruttoria quindi il movente dell’accusa viene meno. È illogica quest’accusa. Prima di tutto perché lui doveva incontrare la vittima insieme al padre e aveva comprato i biglietti a tutti e due. Ora, come è concepibile che una persona premedita un delitto invitando sia vittima che padre della vittima?», si chiedeva l’avvocato. Che poi, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fossero altri soggetti che potevano essere accusati dell’omicidio di Pike, aveva spiegato: «Ci sono ben due soggetti contro cui ci sono prove schiaccianti. Uno è un tedesco che si chiama Thomas Knott, il quale in Germania era stato condannato a sei anni per truffa e bancarotta fraudolenta. Lui e Anthony Pike, che secondo me sono sospettati di aver organizzato l’omicidio di Dale, sono diventati testimoni dell’accusa, ma quale credibilità possono avere se sono stati loro stessi i probabili autori dell’omicidio?».

 

 

 

Non solo. Sulle presunte irregolarità del processo il magistrato aveva spiegato: «Durante il dibattimento Chico Forti aveva la possibilità di chiedere il confronto con i suoi accusatori, di parlare per ultimo. Ma il suo difensore, che si è comportato da autentico delinquente, gli ha fatto rinunciare a questi diritti, non gli ha permesso di parlare davanti alla corte per replicare alle bugie dette dal pubblico ministero. Questo è pazzesco. La verità, e questo è l’aspetto più grave, è che c’era una situazione di conflitto di interessi perché il suo legale era anche pubblico ministero in un’altra causa davanti alla stessa corte. E Chico, se l’avesse saputo, avrebbe potuto decidere di cambiarlo».