Governatore nel mirino

Giovanni Toti prepara la controffensiva

Pietro Senaldi

 Il presidente della Liguria, Giovanni Toti, si dimette oppure no? Pagare moneta, vedere cammello. Lui non è assolutamente intenzionato a lasciare. Nella sua casa delle vacanze ad Ameglia, un paradiso a un passo da Lerici, estremo Levante, dove è confinato agli arresti domiciliari da martedì scorso, il governatore studia le carte, con il solo conforto della moglie, la giornalista Siria Magri, al suo fianco.

Viene descritto lucido e combattivo, molto amareggiato però. Certo della sua innocenza, vive l’inchiesta come un processo al suo modo di far politica, alla sua visione, più che alla sua persona. Ha dedicato alla Liguria gli ultimi nove anni della sua vita e l’ha oggettivamente trasformata, coniugando un rilancio turistico che ha portato questa terra a sedici milioni di presenze l’anno a un piano di sviluppo che prevede allargamento del porto fino a raddoppiarne i volumi di traffico, diga, tre ospedali, tunnel subportuale da sei corsie che liberi Genova dal traffico, facendolo scorrere sotto quattro chilometri di area verde in pieno centro, quadruplicamento della ferrovia fino a Milano e molto altro.

 

 


Ora gli rimproverano di aver pensato in grande e aver agito come un doge. L’opposizione è già in campagna elettorale, tutti insieme con il grigio Andrea Orlando, eterno vice del Pd messo in panchina da Elly Schlein nonché ex ministro della Giustizia rilanciato da questa inchiesta che ha decapitato la Regione. Lo slogan è che bisogna cambiare il sistema, che è un po’ come dire stravolgere l’Inter dopo quest’anno di record e successi, un programma piuttosto illogico, come del resto la nostra politica, specie quando si mischia alla giustizia.

 

 


Pagare moneta, vedere cammello, si diceva. «Toti sta pensando alle dimissioni, ma è una decisione politica che spetta a lui e che però non può prendere da solo bensì dopo una verifica con le persone e le forze politiche che lavorano con lui» spiega ai cronisti l’avvocato Stefano Savi, annunciando che presenterà istanza di revoca degli arresti domiciliari e, in caso di rifiuto, farà ricorso al Tribunale del Riesame. È una semplice constatazione: per dimettersi è necessario un confronto e, per averlo, bisogna essere liberi; il che non significa essere per forza prossimi dimissionari, perché il governatore è un gran combattente e non si fa intimidire facilmente. Resisterà fino all’ultimo istante in cui sarà possibile, anche perché la politica è la sua sola fonte di reddito, lui con il governo della Regione non ha messo via un soldo e il processo, comunque vada, è una sciagura economica oltre che politica.

E poi il centrodestra gli chiede di non mollare, l’arresto ha sorpreso tutti nella sua inutilità, visto che sarebbe bastato un avviso di garanzia, e la maggioranza deve prendere tempo per studiare un piano alternativo. In caso la situazione peggiori, ci vuole un candidato in grado di convincere, di allargare la maggioranza oltre il perimetro dei partiti nazionali, capace di intercettare il voto civico, quello che Toti aveva portato in dote; perché da soli, non si vince. La sinistra invece è prontissima, quasi sapesse, o quantomeno preavvertisse. Questa inchiesta è un tonificante per i dem, che avevano appena perso 31 esponenti trasmigrati verso Azione, che fino a ieri strizzava l’occhio al governatore e oggi lo ripudia.

 

 

 

Una cosa pare comunque certa: la libertà non arriverà prima del voto per le Europee di inizio giugno. Se il giudice revocasse gli arresti nei prossimi giorni, smentirebbe la tesi per cui li ha disposti, ossia il pericolo della reiterazione del reato di corruzione elettorale. Allo stesso modo però, passate le consultazioni, viene meno di per sé la motivazione del fermo. La grande incognita è rappresentata invece dal contenuto delle novemila pagine di inchiesta non ancora rese pubbliche. Toti ieri davanti ai giudici si è avvalso della facoltà di non rispondere anche perché, ignorandone il contenuto, non avrebbe potuto difendersi efficacemente. L’appuntamento è rimandato alla prossima settimana, o a quella dopo ancora, quando la difesa si sarà preparata e potrà controreplicare efficacemente. Al momento, la sola accusa solida è di usare frasi infelici al telefono con gli armatori, però non è un reato e non serve essere un maestro del diritto per comprendere che, chiunque, al porto parla diversamente che a Buckingham Palace.