Il caso

Caso-Degni, il giudice usi con cautela i social

Pieremilio Sammarco

Le dichiarazioni pubblicate via social dal magistrato contabile Degni hanno acceso i riflettori sulla personalità del giudice e svelato il suo orientamento politico. Questo episodio ci induce a fare alcune riflessioni sui delicati rapporti tra la magistratura e l’uso dei social media, che ha contagiato tutte le fasce della popolazione; in questo nuovo contesto comunicativo, non si sottraggono i giudici che, anzi, attratti dalla potenza del mezzo e alla ricerca di popolarità e consenso, aprono un proprio profilo e da lì irradiano i loro messaggi su tutta la rete sperando di raggiungere il maggior numero di seguaci. Ma si tratta di una materia da maneggiare con estrema cautela, atteso il ruolo e la funzione che assolve il magistrato su cui il legislatore, a differenza di altri paesi, e il Csm non hanno ancora elaborato delle indicazioni specifiche. Negli Stati Uniti è consentito ai giudici di utilizzare queste forme di comunicazione, ma con delle accortezze e cautele.

Nell’affermare il principio generale che ogni forma di comunicazione al pubblico del giudice non deve ledere l’indipendenza, l’integrità, l’imparzialità e la fiducia nel sistema giudiziario, si prescrive il divieto di pubblicare informazioni o commenti inerenti al processo, di abusare del prestigio dovuto all’incarico e di mantenersi ben distanti dalle attività politiche. Il giudice, inoltre, deve comportarsi in tutte le sue attività extragiudiziarie, anche private, in modo tale da minimizzare il rischio di un conflitto con i propri doveri di ufficio, nonché, deve aspettarsi di essere oggetto di controllo da parte del pubblico e, nell’usare un social media, deve considerare che un messaggio che egli valuta neutro e dunque privo di implicazioni, può, invece, indurre un’altra persona a ritenere che sia messa in dubbio la sua imparzialità. L’esperienza americana consente queste forme di comunicazioni in virtù dell’architettura del suo ordinamento, che ha due pilastri fondamentali a sostegno: il First Amendment della Costituzione che contempla la libertà di espressione e il sistema di selezione ed arruolamento dei giudici delle corti statali che prevede la loro elezione da parte dei cittadini e dunque l’onere per i candidati di costituire dei solidi canali comunicativi con la collettività.

 

 

Nel Regno Unito, invece, per evitare in radice ogni situazione potenzialmente lesiva del prestigio e dell’immagine del corpo giudiziario, il Ministero della Giustizia ha emanato una precisa direttiva che vieta ai magistrati, qualificati pubblicamente come tali, di essere titolari di pagine personali nei social media. Essi, naturalmente, quali privati cittadini possono utilizzarli, ma nelle loro comunicazioni devono omettere ogni riferimento alla loro appartenenza al corpo giudiziario ed alle loro attività istituzionali, limitandosi a pubblicare post su fatti estranei al sistema giudiziario. Peraltro, la pubblicazione delle comunicazioni personali, combinate tra loro, riflettono la personalità del giudice, il suo livello culturale, le sue passioni ed interessi ed anche il suo orientamento politico, elementi tutti che contribuiscono a delinearne il suo profilo e probabilmente coglierne le caratteristiche ed il suo modo di essere che si potrà riflettere nelle sentenze che emetterà. Proprio per queste ragioni, si preferisce il modello di giudice apparentemente neutro, la “bocca della legge”, che comunica al pubblico unicamente con i suoi provvedimenti, che rifugge dai social media per comunicare il proprio orientamento politico su temi assai delicati e divisivi su cui potrà essere chiamato a giudicare. 

*Professore Ordinario di Diritto Comparato