Parole che pesano
Andrea Crisanti demolito in tribunale: "Nessun riscontro scientifico"
Anche l’inchiesta Covid di Brescia, quella sulla “mancata zona rossa”, che vedeva imputati tra gli altri il governatore Attilio Fontana e l’allora assessore al Welfare Giulio Gallera si è chiusa con una archiviazione che non lascia dubbi e smonta - ancora una volta- tutta la retorica con la quale la sinistra ha provato ad infangare la classe politica della Lombardia. Così il Collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Brescia ha disposto l’archiviazione per tredici persone, i cui nomi - che ora elencheremo uno per uno - sono stati per mesi alla ribalta delle cronache mediatiche e poi giudiziarie: Claudio D’Amario, Attilio Fontana, Agostino Miozzo, Silvio Brusaferro, Andrea Urbani, Franco Locatelli, Giuseppe Ippolito, Giulio Gallera, Luigi Cajazzo, Angelo Borrelli, Giuseppe Ruocco, Francesco Paolo Maraglino e Mauro Dioniso. Tutti archiviati per non aver commesso i fatti a loro ascritti. La sentenza del Tribunale di Brescia, però, fa anche di più.
Innanzitutto dice chiaro e tondo che l’istituzione della zona rossa nella bergamasca non era di competenza della Regione Lombardia. Poi smonta punto per punto tutte le balle raccontate in quel periodo da Pd e Cinquestelle. Compresa quella più infamante, cioè che proprio la mancata zona rossa avrebbe causato un aumento delle morti. Un’accusa corroborata dall’imponente studio del professor Andrea Crisanti - passato nel giro di un pugno di mesi da consulente di fiducia di Luca Zaia, a grande accusatore delle regioni di centrodestra, con vista finale sul seggio al Senato con il Partito democratico -, finito agli atti del processo quale “pistola fumante”.
LA PISTOLA FUMANTE
Ecco nel raccontare questa vicenda partiamo proprio da qui. Nella relazione dei giudici di Brescia si sostiene che secondo lo “Studio Crisanti” con la mancata “Zona Rossa” ad Alzano e Nembro «gli indagati avrebbero cagionato la diffusione dell’epidemia in Val Seriana, inclusi i Comuni di Alzano Lombardo e Nembro, mediante un incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo, rispetto all’eccesso di mortalità registrato in quel periodo, ove fosse stata estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio 2020. Con l’aggravante di aver cagionato la morte di più persone». Per l’esattezza 57 in più. Un’accusa pesantissima che, se provata, sarebbe stata punibile con l’ergastolo.
Ebbene, per i giudici bresciani, su questo punto «manca del tutto la prova che le 57 persone, che sarebbero morte perla mancata estensione della zona rossa, rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero stati se fosse stata attivata la zona rossa». I magistrati, quindi, smontano lo “Studio Crisanti”: «Il prof. Crisanti - scrivono - ha compiuto uno studio teorico, ma non è stato in grado di rispondere circa il nesso di causa tra la mancata attivazione della zona rossa e la morte di persone determinate». E ancora: «La contestazione dell’omicidio colposo (...) si basa quindi su una mera ipotesi teorica sfornita del ben che minimo riscontro». Una bocciatura senza appello per il prof-senatore Pd e per tutti quelli che, su queste teorie ci avevano marciato.
CADUTE TUTTE LE ACCUSE
Il Tribunale di Brescia smonta anche la ricostruzione che Fontana e Gallera non avessero chiesto al governo di istituire la zona rossa. Anzi, spiegano i giudici, quella richiesta con tanto di dati sull’evolversi dell’epidemia era stata «inviata tempestivamente al Governo». Idem sull’accusa rivolta alla Regione Lombardia di non aver applicato il piano pandemico datato 2006. Qui l’imputazione cade perché, chi l’aveva scritto «si è espresso in termini drastici circa l’inutilità di quel piano per affrontare la pandemia». Anche perché «sarebbe irrealistico ipotizzare che la stessa (l’epidemia, ndr) sia stata cagionata, anche solo a livello nazionale o regionale, da asserite condotte omissive. La dimostrazione empirica - scrivono da Brescia- ma inconfutabile, di tale assunto è data dal fatto che che tutti i Paesi sono stati colpiti dalla pandemia, sia quelli che hanno adottato misure più restrittive come l’Italia, sia quelli che hanno additato misure meno restrittive». Lapidario il commento di Attilio Fontana: «Su questa indagine una certa parte politica ha costruito per anni una campagna di vero e proprio odio contro la Lombardia e contro il nostro operato. Nelle pagine della sentenza di archiviazione prosegue Fontana - vedo smontate molte delle troppe bufale costruite ad arte su quei mesi drammatici che hanno sconvolto le nostre comunità e provocato un immenso dolore a tante famiglie».