Giustizia
Francesco Bellomo, Vittorio Feltri: perseguitato e infamato ingiustamente
È notizia di pochi giorni fa (ovviamente ignorata dai media) che l’ex consigliere di Stato Francesco Bellomo è stato archiviato anche a Torino. I magistrati del capoluogo piemontese hanno evidenziato, per l’ennesima volta, la “regolarità” del contratto tanto discusso e la piena liceità delle sue relazioni. Definito “porco” in diretta televisiva, attaccato da giornalisti e opinionisti che lo hanno considerato fin dal principio reo oltre ogni ragionevole dubbio dei reati contestatigli, bersaglio di ogni genere di insulto, infamato in maniera crudele, deriso, beffeggiato, disonorato, argomento di cronaca giudiziaria quotidiano per mesi e mesi, addirittura anni, e sempre con toni assolutamente colpevolistici e spietati, il brillante magistrato è stato definitivamente prosciolto da ogni accusa, senza mai essere neppure rinviato a giudizio. Ed è stato assolto non da un tribunale, bensì da sei procure distribuite da Nord a Sud. Anzi, specifico che il tribunale di Milano, la cui serietà è arcinota, già agli albori di questa faccenda, provvide ad archiviare il procedimento, dal momento che era evidente che Bellomo, accusato di avere imposto un dress-code agli studenti, sia maschi sia femmine, i quali partecipavano ai suoi corsi in magistratura, non si fosse macchiato di alcun crimine.
Il magistrato è stato poi dichiarato innocente dai tribunali di Bari, Piacenza, Roma, Bergamo, Torino. I giudici, insomma, hanno in maniera incontrovertibile appurato che Francesco Bellomo è – lo ripetiamo – innocente. E se non è colpevole, allora egli è vittima. Dunque, egli è stato perseguitato, ingiustamente screditato, colpito, massacrato dalla stampa, divorato da questi personaggetti tristi che popolano i talk-show e che pretendono di insegnarci la morale, pur non possedendone una. Quello che Bellomo ha patito è stata una iniquità. Lo ha riabilitato e rinfrancato proprio quella Giustizia cui egli stesso si è votato dedicandole la propria intera esistenza e la propria carriera. Bellomo fu un pubblico ministero giovanissimo, il più fresco d’Italia.
Questa vicenda dovrebbe essere conclusa, eppure Bellomo attende ancora di essere reintegrato nel suo ruolo, ossia quello di consigliere di Stato, che gli fu indebitamente tolto anni fa a causa dei procedimenti in corso. Cosa stiamo aspettando a restituire a Cesare quel che è di Cesare? Insomma, non soltanto abbiamo tormentato questo giudice, quest’uomo, dai cui corsi di diritto sono usciti decine e decine di magistrati che operano all’interno dei nostri palazzi di Giustizia, ma lo abbiamo anche privato del suo mestiere, che era la sua vita, e non glielo abbiamo mai più restituito. Il tutto senza giustificazione, come hanno dimostrato gli esiti dei vari processi.
Mi domando: in uno Stato di diritto è ammissibile che accada un fatto del genere? Io ritengo che tutto questo non si sarebbe mai dovuto verificare, o che, quantomeno, una volta emersa l’innocenza di Bellomo, questi avrebbe dovuto immediatamente riavere il suo posto all’interno del Consiglio di Stato. Cosa che ancora non si è realizzata, purtroppo.
Questo vuole essere un appello al nostro ministro della Giustizia, Carlo Nordio, anch’egli ex magistrato, affinché le istituzioni si sensibilizzino nei confronti dell’ex consigliere di Stato Francesco Bellomo, processato e assolto da ben sei procure, il quale meriterebbe quindi che il suo status quo ante venisse ripristinato subito.
Nessuno può rendere a Bellomo gli anni che gli sono stati portati via, insieme a parte della salute e dei soldi persi, dilapidati in spese legali che egli non avrebbe dovuto sostenere, però possiamo riconsegnargli le sue funzioni. Sarebbe il minimo che gli dobbiamo. Colgo l’occasione per esprimere la mia stima nei confronti di quei giudici che lavorano nei nostri tribunali con zelo, impegno, passione, rispondendo, tra mille difficoltà, alla domanda di giustizia che proviene dai cittadini. Non condivido affatto l’idea che la magistratura sia marcia, politicizzata, ostile, impegnata a triturare le persone. E la questione Bellomo ne è dimostrazione. La giustizia non agisce seguendo schizofrenici parametri di tipo moralistico che oggi sembrano dominare più che mai la società, bensì applicando la legge, che ha una sua razionalità.