Stop manettari

Carlo Nordio, Vittorio Feltri: se anche l'Unità difende il ministro

Vittorio Feltri

Leggo volentieri l’Unità perché, anche nella nuova versione tornata in edicola da alcuni mesi, nove volte su dieci mi conferma nella convinzione che peggio della destra c’è solo la sinistra. Il restante dieci per cento dei casi ha il potere di rasserenarmi perché dimostra che nessuno è perfetto, neanche il comunista stagionato in botti di rovere, com’è senza dubbio Piero Sansonetti. La sua imperfezione, che lo distingue per sua fortuna da Elly Schlein, si chiama garantismo. Più che un difetto lo chiamerei un vizio, dato che ce l’ho anch’io.

Ieri Sansonetti, direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, ha scritto un articolo i cui contenuti sottoscrivo in pieno. Piero non si limita a dar ragione al ministro Carlo Nordio sulla necessità di rimediare a una anomalia nella teoria e nella pratica giudiziaria italiana. Vige da noi una figura di reato creata dalla Cassazione nel lontano 1994 e che è non prevista da alcuna norma di legge: mi riferisco al «concorso esterno in associazione mafiosa». L’Unità ha il merito di costringerci a spostare lo sguardo dalla dottrina e dalla convenienza politica al caso concreto.

Ha esaminato la vicenda di Antonio D’Alì, per ventiquattro anni senatore di Forza Italia eletto a Trapani, e dal 14 dicembre scorso nel carcere di Opera dove si è consegnato dopo la condanna a sei anni sanzionata dalla Cassazione appunto per «concorso esterno».

All’assurdità giuridica si somma l’anomalia del percorso processuale che rende doppiamente deplorevole la permanenza in carcere di D’Alì. Il politico berlusconiano è stato assolto in primo grado a Trapani, riassolto in appello a Palermo. Quindi la Cassazione ha accolto il ricorso della Procura generale, e si è rifatto il processo. Pare che il nostro uomo nel 1994 sia stato eletto con i voti del clan mafioso dei Messina Denaro, che festeggiarono la vittoria del loro preferito.

 

In realtà quell’anno in Sicilia il centrodestra fece filotto, prese tutti e 64 i seggi disponibili tra Camera e Senato. Se invece di D’Alì si fosse presentato un ciuccio spelacchiato sotto le insegne berlusconiane avrebbe avuto la stessa sorte del cavallo di Caligola che ricevette il laticlavio invece della biada. Ma non è questione qui di entrare nel merito della sentenza, di cui non ho alcuna intenzione di studiare le carte, ma mi domando come sia possibile che i medesimi elementi, considerati insussistenti da due squadre di giudici presumibilmente per bene, siano stati probanti dopo che la Cassazione ha rispedito le carte a Palermo.

C’è una ulteriore questione che si aggiunge alle altre due: D’Alì ha 72 anni. Chi ha più di 70 anni non dovrebbe essere esentato dalla pena carceraria per essere destinato a forme di pena alternative? Ah sì, c’è giustamente l’eccezione di reati gravi contro la persona e l’alta pericolosità sociale. D’Alì non era un latitante. Scoprono che era pericolosissimo nel 1994, ma se ne accorgono dopo 28 anni... Insomma, qualche volta i comunisti hanno ragione. Non solo Sansonetti. A suo tempo anche Giuliano Pisapia, da parlamentare di Rifondazione comunista, sostenne le medesime tesi quando propose una una legge che sistemava la questione restituendo al potere legislativo le sue competenze. Rimediava all’eco-mostro del diritto evitando l’obbrobrio linguistico e logico di «concorso esterno», istituendo il reato di «favoreggiamento o agevolazione di associazione di tipo mafioso». 

 

Alla proposta di Pisapia ne seguirono altre. Ma ogni volta ci si è fermati dinanzi al rischio di passare per sostenitori dei boss di Cosa Nostra. Il ricatto dell’antimafia professionista ha funzionato. E sta funzionando anche stavolta. Sono riusciti a far passare quel galantuomo di Nordio per un tipo tenero verso i criminali che sciolgono nell’acido i ragazzini, stravolgendo la realtà. Ovvio, il giurista veneziano non ha mai inteso negare la criminosità di atti che favoriscono la mafia, ma devono essere affrontati secondo le regole dello Stato di diritto. Una storia liberale, che qualche volta ci tocca imparare da un comunista imperfetto.