La guerra in Procura
Davigo condannato, "sventato un golpe nel Csm": l'accusa dell'avvocato di Ardita
"Era l'unica sentenza possibile nel rispetto della legge, davanti a un reo confesso non si poteva far finta di niente". Lo afferma l'avvocato Fabio Repici, che ha tutelato gli interessi dell'ex consigliere del Csm Sebastiano Ardita parte civile nel processo bresciano che ha visto la condanna a un anno e tre mesi dell'ex magistrato Piercamillo Davigo per rivelazione del segreto d'ufficio rispetto ai verbali conegnatigli dal pm di Milano Paolo Storari in cui Piero Amara ha svelato i nomi dei presunti appartenenti alla fantomatica loggia Ungheria.
Per il legale di Ardita "c'è stato un tentativo di golpe ai danni del Consiglio superiore della magistratura e il consigliere Ardita era stato visto come uno dei pochi ostacoli" contro cui scagliarsi. "Oggi bisognerebbe ringraziare Ardita per aver mantenuto la dignità dell'Organo di autogoverno della magistratura, senza un ruolo nel quadriennio e senza l'impegno di pochi altri di tutela delle istituzioni, oggi probabilmente se quella operazione fosse riuscita ci troveremmo davanti a una giustizia più sbandata" conclude Repici.
Il Tribunale di Brescia ha condannato Davigo anche a pagare 20mila euro ad Ardita come risarcimento. Secondo i pm dell'accusa, Storari consegnò quei verbali segreti a Davigo rassicurato dall'inopponibilità al segreto rivendicata dal consigliere del Consiglio superiore della magistratura. Davigo però agì - per la pubblica accusa - fuori dalla procedura formale descritta in due circolari e invece di impedire la diffusione di quegli atti svelò, a quasi una decina di persone, quelle informazioni rese dal controverso Amara - sulla cui credibilità più procure si sono trovate a discutere - per screditare il collega Ardita, il cui nome avrebbe fatto parte di quei verbali segreti. La scelta di Davigo ha fatto sì che tutto "sia rimasto nel chiacchiericcio e nell'uso privato di informazioni pubbliche" è la tesi dei pm Francesco Carlo Milanesi e Donato Greco. "Appare difficile ritenere che la gestione di questa vicenda abbia incrementato la fiducia dei cittadini: non si è evitato alcun danno, si è semplicemente scelto chi e quando doveva sapere" le parole usate nella requisitoria. E così, nel cortile del Csm lontano da cellulari pericolosi, Davigo informò diversi colleghi - in assenza di una ragione ufficiale - del contenuto per metterli in allarme dal frequentare i "consiglieri Ardita e Mancinetti", mostrò e fece leggere quei documenti su cui la procura di Milano manteneva il più stretto riserbo.