Punto per punto

Giustizia, i soprusi della magistratura: perché la riforma è necessaria

Filippo Facci

Da settimane il Guardasigilli Carlo Nordio ha disegnato delle riforme in tema di Giustizia che altri tentavano di disegnare da trent’anni (non solo quelli berlusconiani) e che per cominciare – nel senso che ce ne saranno altre- sono queste: 1) Stop al reato d’abuso d’ufficio, abolirlo proprio; 2) Stop alle intercettazioni sputtananti sui giornali; 3) Stop ai pm che, per tigna personale, fanno sempre appello anche dopo un’assoluzione in primo grado; 4) Stop al carcere preventivo come regola; 5) Stop al reato di traffico d’influenze così com’è, che non ci si capisce niente.

STOP ALL’ABUSO D’UFFICIO
E l’ipotesi di reato più inutile del mondo e serve solo a tenere in scacco un neo indagato: sia egli un politico, un amministratore o un cittadino semplice. In concreto, nel 2021, ci sono state 5.418 indagini con sole 27 lievi condanne, l’85 per cento (95, secondo altre fonti) è finito in nulla: ma in passato per questo reato finì in custodia cautelare l’intera giunta regionale dell’Abruzzo, il costruttore Salvatore Ligresti ricoverato in clinica, il sindaco pidiessino Claudio Burlando, il deputato dell’Assemblea siciliana Angelo La Russa e tutto questo per qualcosa che mai, dopo un processo, ha condotto al carcere definitivo.

 

 

Quasi tutti vengono assolti in primo grado o prosciolti in udienza preliminare o archiviati. Dopo varie modifiche per circoscrivere i limiti del reato (1990, 1997, 2020) o addirittura per inasprirlo (2012, Legge Severino) sono continuate iscrizioni nel registro degli indagati e avvisi di garanzia che inibivano la firma di sindaci e amministratori su ogni provvedimento, con danni facilmente immaginabili. Da qui la convinzione che sia un reato irriformabile, e che vada abolito in toto, punto, a dispetto delle obiezioni della «guastatrice» leghista Giulia Bongiorno in Commissione giustizia del Senato. La sola esistenza di questa fattispecie inutile giustifica spese, perquisizioni, sequestri e titoli sui giornali che si traducono in fango e sputtanamento per il malcapitato. Bastano quattro righe in Procura e parte l’iscrizione nel registro degli indagati, con immagine compromessa e magari un successivo avviso di garanzia che giustifica richieste di dimissioni.

STRETTA SULLE INTERCETTAZIONI
Se riassumessimo le volte che ci hanno già provato faremmo notte, e se rispiegassimo da capo perché non è giusto che gente innocente finisca in un tritacarne mediatico permanente, beh, prenderemmo in giro il buon senso del lettore. Da quanto inteso, l’intervento sulle intercettazioni è provvisorio e di orientamento garantista (ovviamente) in attesa che la materia sia radicalmente modificata con l’introduzione addirittura di un nuovo codice di procedura penale, qualcosa comunque da sovrapporre alle sovra-interpretazioni discrezionali di quello già varato nel 1989 e che già nelle intenzioni – e siamo al punto – doveva essere più che garantista.

 


Sono infatti le singole letture dei magistrati, o le furbizie e discrezionalità, a poter inquinare in nuce ogni modifica delle regole. L’obiettivo, per ora, è che i magistrati che trascrivano le conversazioni omettano direttamente i nomi delle persone estranee a un’inchiesta, così da tutelare i non indagati che altrimenti finirebbero per essere risucchiati nel processo (perlomeno a livello mediatico) e insomma spetta a loro l’ultima parola: e potrebbero sempre inventarsi, di volta in volta, le più varie e fantasiose ragioni istruttorie che giustifichino tra gli atti la presenza di questo o quel nome da gettare in pasto all’opinione pubblica, magari anche per affari privati e senza rilievo penale. La storia recente ha dimostrato che per tutelare la dignità e l'onore del prossimo non servono norme che invitino a farlo, ma che risolutamente obblighino a farlo, con sanzioni in caso contrario. A fronte di migliaia di esempi, ricordiamo che per distruggere quattro telefonate private persino di un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intercettate a margine del morto e rimorto processo sulla trattativa Stato-Mafia, non bastò certo il buon senso dei magistrati: dovette intervenire la Corte Costituzionale.

NIENTE APPELLO SE ASSOLTI
Nella bozza di Nordio si prevede che l’accusa non possa più presentare appello (come fa quasi sempre) contro sentenze di assoluzione per reati non gravi: rimarrebbe, ergo, per quelli più gravi, tipo quelli contro la persona (siamo in zona femminicidio) che determinano un particolare allarme sociale.
Sembra semplice, ma la Consulta, dopo infinite proteste della magistratura, nel 2006 bocciò la Legge Pecorella che decretava proprio l'inappellabilità delle assoluzioni, che peraltro è prevista negli stati di common-law. Si tratta di capire se anche questa riforma sacrosanta sia provvisoria (e cementata in un Nuovo Codice) o se la Corte Costituzionale sia pressata a intervenire o eccepire da subito. È improbabile che Nordio non faccia tesoro delle esperienze precedenti. Chissà se alla categoria forense farebbe piacere anche un’altra norma anglosassone come la scorsa: la cosiddetta «Reformatio in pejus», cioè la possibilità che, formulando appello, un imputato si possa beccare una pena anche più alta.

CARCERAZIONE PREVENTIVA
L’espressione corretta, dal 1989, sarebbe custodia cautelare, ma «l’extrema ratio» per i casi a cui ricorrervi è rimasta quella di sempre, anzi: è rimasta una regola variabile seconda dei periodi e degli umori popolari. Anche qui: il pericolo di fuga dell’indagato, il pericolo che ripeta il reato o che inquini le prove (pretesti talvolta letteralmente risibili) sono nelle mani di un singolo giudice delle indagini preliminari, il gip. Per tutta Mani pulite (centinaia di filoni) i pm si scelsero addirittura un gip unico. È anche così che si stipano le carceri e si registra il record europeo dei cittadini in attesa di giudizio: la carcerazione preventiva, in Italia, è uno strumento per favorire le confessioni. Nei Paesi anglosassoni si teme il processo perché poi si finisce in carcere, mentre in Italia, spesso, si attende il processo per uscirne. Per ora Nordio si limiterà a proporre che l’ultima parola spetti non più al singolo gip, ma a tre distinti giudici.

TRAFFICO D’INFLUENZE
Anche qui si tratterebbe di un primo step, poi in autunno sarebbe prevista una discussione sui reati della pubblica amministrazione richiesta dalla responsabile giustizia della Lega, Giulia Bongiorno, la quale – forse Salvini non l’ha capito – più che riferire il punto di vista della Lega sembra riferire quello dell’Associazione magistrati. È un reato complicato e non ci si capisce niente, e si vuole modificarlo anche per questo. Fu introdotto nel codice penale nel 2012 (Legge Severino) e notificato dalla «spazzacorrotti» di Bonafede nel 2019: il reato prevede soggetti (un faccendiere, un committente privato della mediazione e un pubblico ufficiale) e vorrebbe punire chi per soldi millanti rapporti con un soggetto pubblico e s’impegni a fare da mediatore tra privato e pubblico – con quest’ultimo che magari è pure all’oscuro di tutto. Carlo Nordio vorrebbe rimettere ordine in una norma incasinatissima (l’hanno fatta i grillini) limitandolo a condotte gravi e innalzando le pene. E anche questa è a suo modo una riforma garantista, espressione che significa, non dimentichiamo, rispetto delle regole.