Bufera

Ong, la giudice Marisa Acagnino venne graziata da Palamara

Paolo Ferrari

La giudice catanese Marisa Acagnino non era idonea a ricoprire l’incarico. È quanto emerge dagli archivi del Consiglio superiore della magistratura. La toga, che la scorsa settimana aveva stroncato il decreto “anti-sbarchi” voluto dal ministro Matteo Piantedosi, condannando i ministeri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture al pagamento delle spese processuali per la vicenda dei migranti a bordo della nave Ong tedesca Sos Humanity, era stata sottoposta a diversi procedimenti disciplinari. In particolare perché, «in qualità di presidente di sezione del tribunale di Catania, in violazione dei doveri di correttezza ed imparzialità che debbono informarela condotta delmagistrato, ometteva consapevolmente di astenersi in due cause in cui era parte Carmine Canonico atteso il consolidato rapporto di amicizia e frequentazione».



 

L’INDAGATO
Canonico, ex generale della guardia di finanza, aveva ricoperto l’incarico di presidente di “Sicilia Digitale”, società partecipata della Regione Siciliana,che si occupa della gestione dell’infrastruttura informatica al servizio della pubblica amministrazione ed era stato indagato perché avrebbe liquidato in proprio favore rimborsi spese non dovuti. Dalle intercettazioni era emerso che la magistrata forniva indicazioni al figlio dell’ufficiale, l’avvocato Ivan Canonico, nello svolgimento delle alcune attività professionali come delegato alle vendite immobiliari. Acagnino, già componente dell’Associazione nazionale magistrati di Catania e candidata sindaco della città etnea con la lista Crocetta, si sarebbe preoccupata di chiedere a Carmine Canonico se il figlio avesse preso la “cosa”facendo riferimento, come scrivono gli inquirenti, alla documentazione inerente proprio una procedura immobiliare.



Per il Consiglio superiore della magistratura si poteva quindi ipotizzare un deficit nel «prerequisito dell’imparzialità». Deficit sanato poi dal Csm e, in particolare, da Luca Palamara. Tornando,invece, al generale delle fiamme gialle, secondo i suoi ex colleghi, «sarebbe emersa una gestione privatistica del ruolo ricoperto dal pubblico ufficiale, il quale si sarebbe appropriato indebitamente di rimborsi per spese relative a trasferte mai effettuate o effettuate solo in parte e a pranzi e cene che superavano l'importo massimo previsto, peraltro sostenute anche a beneficio altri soggetti e l’acquisto di beni non rimborsabili». Il giudice per le indagini preliminari aveva emesso lo scorso anno un provvedimento cautelare grazie al quale erano state sottoposte a sequestro disponibilità finanziarie di circa 44mila euro pari alla somma che nel tempo, secondo gli investigatori, sarebbe stata indebitamente percepita dall'indagato che, a oggi, non ricopre più funzioni di rilevanza pubblica.