Il ritratto
Silvana Sciarra, la "rossa" a capo della Consulta: chi è davvero
Nel doppio derby (due donne, entrambe provenienti da sinistra), ha vinto la più vicina alla Cgil o perlomeno al mondo del lavoro: Silvana Sciarra. È lei il nuovo presidente della Corte costituzionale. Allieva di Gino Giugni, autore dello Statuto dei lavoratori, ha "battuto" l'altra candidata, Daria De Petris, nominata giudice da Giorgio Napolitano e considerata più vicina al Pd. Sciarra è stata eletta, ieri, con 8 voti su 15. Succede a Giuliano Amato (il cui mandato è scaduto domenica) e rimarrà in carica fino all'11 novembre 2023, quando terminerà i suoi nove anni come giudice costituzionale. Il suo primo atto, improntato al fair play, è stato la conferma dei due vicepresidenti De Pretis e Nicolò Zanon, entrambi in corsa per la presidenza. Derby di sinistra a parte, l'elezione dei Sciarra è di sicuro una buona notizia per le donne. Detiene, in questo campo, due record: è stata la prima donna eletta dal Parlamento giudice costituzionale (il 6 novembre 2014) e, da ieri, è la seconda donna a presiedere la Consulta, dopo Marta Cartabia, attuale Guardasigilli. La neo-presidente, però, ha una formazione molto diversa, sia da Cartabia, che da Amato. Viene, come Cartabia, dal mondo accademico, ma è una giuslavorista. Prima di arrivare alla Consulta era professore ordinario di Diritto del Lavoro e Diritto sociale europeo presso l'università di Firenze e l'Istituto universitario europeo.
GLI INIZI
Nata a Trani nel 1948, la sua carriera inizia a Bari, dove si laurea in Giurisprudenza, niente meno che con Giugni, autore dello Statuto dei lavoratori. Si è, poi, confrontata con esperienze all'estero, tra cui Warwick, Columbia Law School, Cambridge, Stoccolma, Lund, University College Londra. Ha insegnato nella facoltà di Scienze economiche e bancarie dell'università di Siena e ricoperto la cattedra di Diritto del Lavoro e Diritto sociale europeo all'Istituto universitario europeo di Fiesole. Ha, infine, collaborato con la Commissione europea in numerosi progetti di ricerca. Alla Consulta, dove dal gennaio di quest' anno ha ricoperto il ruolo di vicepresidente, ha firmato la sentenza che ha dichiarato indifferibile la riforma delle norme sui licenziamenti, e la pronuncia che ha ritenuto discriminatoria la limitazione del bonus bebè ad alcune categorie di migranti. «Ho il privilegio di avere i capelli bianchi. La Corte ha voluto forse premiare questo criterio della anzianità», sono state le sue prime parole. Ha promesso di «rafforzare la collegialità» e di avere come faro, nello svolgere il suo compito, la «sobrietà»: Da qui «l'istituzione prende autorevolezza, trasparenza e indipendenza».
ORGOGLIO
Quanto al fatto di essere stata la prima donna giudice eletta dal Parlamento, ha ammesso di esserne orgogliosa: «La trasversalità del consenso è quella da cui si trae l'indipendenza. Ho sentito in me una accresciuta responsabilità che mi ha dato indipendenza». Detto questo, «il modo migliore per far emergere le donne», ha aggiunto, «è offrire alle giovani donne le stesse occasioni di crescita a partire dalla formazione e dalle occasioni di ingresso nei mercati del lavoro che precedentemente erano precluse alle figure femminili». Riguardo alla possiblità di introdurre il ricorso diretto del cittadino alla Corte, è stata prudente: «È possibile e auspicabile ma non può essere improvvisato o imitato». Si è ripromessa, poi, di seguire l'esempio del presidente Amato, rispetto allo stile di comunicazione. «Tutti noi vogliamo continuare a illustrare il nostro operato in modo chiaro, limpido, trasparente e corretto». A proposito dello Statuto dei lavoratori, ha detto di esserci affezionata, ma non ha escluso che ci sia «bisogno di intervenire nuovamente». Quanto agli incidenti sul lavoro, «l'Italia ha un corpo di norme molto avanzato». Il problema è che «c'è una scarsa attenzione nell'attuarle nel modo migliore». Ha poi sottolineato la necessità di una «collaborazione continua» con il Parlamento. Riguardo ai conflitti che a volte si consumato tra diritto nazionale e diritto europeo, «certamente», ha detto, «non possiamo dire che l'indipendenza della magistratura possa violare i valori comuni, il diritto europeo».