battaglia silenziosa
Rai, l'attacco di Pietro Senaldi: così sta boicottando il referendum sulla giustizia
A tre settimane dai referendum sulla giustizia il 44% degli italiani non sa neppure che sarà chiamato alle urne. La denuncia la fa l'onorevole Michele Anzaldi, di Italia Viva, già segretario della Commissione Parlamentare di Vigilanza sulla Rai, ruolo nel quale, quando era ancora del Pd, fece il diavolo a quattro per difendere temi e giornalisti progressisti e screditare sistematicamente qualsiasi voce dissonante. Oggi, che sul tema magistratura è contro i suoi ex compagni, il deputato renziano si accorge che la comunicazione pubblica è manipolata dalla sinistra, e denuncia «una disinformazione grave in aperta violazione delle norme su pluralismo e par condicio». Benvenuto dall'altra parte della barricata, ex compagno. Per quanto Anzaldi non sia il più autorevole difensore della libertà di stampa e del diritto d'informazione, sul punto ha ragione. Per boicottare questi referendum, che si propongono di rimediare al degrado della giustizia, e soprattutto della magistratura, la trimurti giudici, Partito Democratico e grillini ha fatto di tutto. Complice la Corte Costituzionale, che di sei referendum sui magistrati ha bocciato proprio quello sulla responsabilità dei giudici, che prevedeva che chi sbaglia deve pagare, anche se ha la toga. Un quesito al quale gli italiani dissero sì già trent' anni fa, ma che poi il Parlamento insabbiò, trasferendo la responsabilità economica dell'errore colpevole del giudice dal medesimo allo Stato. In quanto il più comprensibile anche da chi non è un tecnico del diritto, il referendum non ammesso sarebbe stato quello avrebbe trainato tutti.
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Come gli altri due, quelli sulla legalizzazione della cannabis e dell'omicidio del consenziente, bocciati dalla Corte di Amato sostanzialmente perché avrebbero chiamato più gente alle urne. Il voto del 12 giugno, oltre che fondamentale dal punto di vista tecnico, ha un valore politico unico. Testimonierebbe l'insofferenza degli italiani verso lo strapotere della casta in toga. Per questo, grillini e Pd, i partiti più tutelati dai giudici, lo stanno sabotando pervicacemente. A cominciare dalla data: si vota in un unico giorno, una domenica di quasi estate, circostanza più che insolita, sperando che la gente vada al mare. Pur di scongiurarlo, è stata approvata in fretta e furia una riforma, la Cartabia, che è un pannicello caldo sui mali della giustizia: ritocca i criteri di valutazione dei magistrati e quelli di nomina dei membri del Csm e abbozza un limite al saltabeccare delle toghe tra incarichi in Procura e in Tribunale, ma non incide sulla sostanza, non dà scacco matto al correntismo, che è alla base della politicizzazione della magistratura.
Il fuoco di fila contro il voto ha determinato il mezzo silenzio sudi esso anche dei partiti che sostengono il referendum. Salvini, Renzi, Berlusconi, non si stanno giocando tutte le carte, perché da decenni ormai il voto popolare è un'arma spuntata, un gioco a perdere, non raggiunge mai il quorum necessario alla sua validità. Ieri è stata la giornata dei flebili appelli e della conversione di Anzaldi, che ha scoperto che cos' è il disservizio pubblico, di cui ebbe in passato tanta responsabilità.
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Verrebbe da dire che, se dopo tutto quello che hanno saputo sugli scandali dei magistrati, gli italiani non si precipiteranno in massa a votare per scardinare il sistema, significa che si meritano una delle giustizie più scassate dell'Occidente, della quale presto o tardi la maggioranza di noi tutti finisce vittima. Invece no: gli italiani non se la meritano, perché neppure un criminale si merita una giustizia partigiana e inefficiente. La sola colpa dei cittadini è di essere tenuti all'oscuro da un'informazione che pende da una parte sola, quella che la storia sta dimostrando essere sbagliata: il giustizialismo grillino, le toghe politicizzate e i progressisti che, senza più argomenti né valori, riescono a prevalere solo facendo fuori i rivali per via giudiziaria.
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