Impuniti

Brigatisti liberi, i giudici francesi dormono: slitta l'estradizione, lo sfregio alle vittime e all'Italia

Renato Farina

Per favore, il ridicolo no, risparmiatecelo. Non è possibile che le tragedie da noi si tingano sempre di colori grotteschi. Tutto rinviato. Manca un foglio, un incartamento, forse la posta non ha funzionato, o la pec si è inceppata. Fatto sta che il giudice francese ha deciso: ciao, tutti a casa vostra cari brigatisti, sistemate pure il giardinetto, ci si ritrova in primavera, sperando che finalmente i fascicoli siano stati depositati integralmente, conformemente alle richieste espresse a novembre dai giudici, alla Chambre d'Instruction di Parigi. E' andata proprio così. A trent' anni e più dai barbarici delitti e a decine d'anni dalle sentenze di condanna dei latitanti, secondo la versione per ora senza repliche della controparte italiana, la nostra giustizia, con la sua pletorica burocrazia togata che affolla il ministero di via Arenula, non è riuscita a mettere insieme e a spedire per tempo utile i fascicoli, le sentenze, le attestazioni di rispetto dei diritti alla difesa di chi fu dichiarato colpevole, ma che intanto si fece uccel di bosco, coccolato nel nido piumato di una Francia amica per modo di dire, e neanche un po' solidale con il sangue versato da inermi italiani. Vorremmo dire ai francesi: non esiste il diritto all'impunità, esiste il diritto alla difesa, almeno postuma, delle vittime.

 

 

ACCOGLIENZA BENEVOLA - Pareva che quel tempo dell'accoglienza benevola dei criminali, purché terroristi italici, fosse finalmente concluso. Ricordate? Dieci anziani signori delle Brigate Rosse, dopo trenta e più anni di serena ospitalità come combattenti di una nobile causa, erano stati arrestati il 27 aprile scorso in combinazione tra la Sûreté e la Polizia. L'operazione fu battezzata epicamente "Ombre rosse". A quanto pare però, il finale non somiglia per niente a quello del film di John Ford: il sesto cavalleggeri - alias la nostra polizia è stato beffato. Che illusione. Le prime pagine di tutti i quotidiani italiani avevano aperto, tra lo scetticismo dei quotidiani francesi consci del nazionalismo congenito a qualsiasi loro apparato, con la notizia trionfale di cui sopra. Un titolo? Quello della Stampa: «Anni di piombo, la ferita risanata». Un altro? La Repubblica: «Annidi piombo, ultimo atto». Ultimo atto un par di balle. L'affermazione si è dimostrata subito leggermente esagerata. Furono liberati dopo un paio d'ore. Una faccenda di forma. Una sceneggiata. Figuriamoci se avessero subito preso per buone le nostre richieste decennali. Bisognava aspettare altre carte dall'Italia, studiarle, e poi ci sarebbe stato il contraddittorio tra il magistrato italiano di collegamento, la dottoressa Roberta Collidà, e gli avvocati della difesa, tra tutti la mordace Irene Terrel.

 

 

Finalmente, dopo che il 5 gennaio l'udienza dove il protagonista doveva essere Giorgio Pietrostefani, il più famoso, condannato per l'assassinio di Luigi Calabresi, era stata rinviata al 23 marzo: motivi seri di salute, civiltà vuole che si rimandi. Gli altri 9 erano tutti presenti alla Chambre d'Instruction. E' finita come abbiamo detto. L'Ansa ha spiegato laconicamente: «La motivazione, come nelle udienze degli ultimi mesi, è che le informazioni giunte dall'Italia sui procedimenti a carico degli ex Br sono tuttora incomplete rispetto alle richieste della Francia». Persino la Terrel, l'avvocata di 7 di loro, si è mostrata inviperita: le conviene. Infatti il ritardo italiano è una prova a discarico per i suoi clienti. $ la dimostrazione della sciatteria, oppure chissà quali carte nascondono les-italiens. Due domande. 1) Che cosa è successo davvero? 2) Ma perché se la cavano sempre? C'è sempre un buon motivo, una dimenticanza, un foglio mancante, per farla franca, con il metodo manzoniano del Conte Zio, smorzare, rallentare, spostare, in fondo dimenticare. Ehi, invece no, non c'è più tempo. Aver perso trent' anni non è un buon motivo per perderne trentuno. Quei dieci hanno goduto per decenni in Francia il riposo sereno del guerriero comunista: basta così.

 

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MEMORIA DELLE VITTIME - Francamente eravamo pronti a ringraziare la Francia per l'estradizione. La giustizia, memoria delle vittime compresa, esigeva il "sì". Ovvio. Le colpe si pagano, le sentenze si rispettano. Tra Paesi amici, dove in entrambi vige lo Stato di diritto vigilato dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo, non avrebbero dovuto esserci dubbi. Davanti al "no", che pure ci pareva impossibile, ci saremmo arrabbiati con i francesi, indi chiesto a Draghi e a Mattarella di rispondere allo sfregio richiamando l'ambasciatore, stracciando il famoso Trattato del Quirinale che ci lega ad amicizia imperitura rivelatasi pelosa alla Francia. Insomma un sì-sì o un no-no. E pensavamo che il no, richiesta respinta, fosse il male peggiore. Non è così. Come diceva il Vangelo: o sì o no, tutto il resto viene dal Maligno. Ecco, ieri a Parigi, ha parlato il Maligno, e ha detto «Vedremo».