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Carlo Nordio sulla corsa al Quirinale: "I magistrati interverranno anche in questa partita", chi faranno fuori
Definizione di pubblico ministero italiano: «L'unico organismo al mondo che ha un potere immenso senza nessuna responsabilità». Giudizio non viziato da alcuna ostilità verso la categoria: ad emetterlo, davanti alla platea della Leopolda, la kermesse fiorentina di Matteo Renzi è stato infatti un magistrato con una lunghissima carriera di procuratore a Venezia: Carlo Nordio.
Come si è arrivati a questa situazione, dottor Nordio?
«È l'effetto del nuovo codice Vassalli, "alla Perry Mason", che ha conferito ai pm gli stessi poteri, anzi poteri maggiori, di quelli attribuiti al "prosecutor" americano».
Il quale, però, a differenza del pm italiano, è elettivo.
«Appunto. E questo attribuisce al "prosecutor" una responsabilità politica: se sbaglia indagini o colleziona assoluzioni, viene mandato a casa. Il pm italiano, capo della polizia giudiziaria e quindi munito di formidabili poteri operativi, in base al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale può indagare nei confronti di chiunque anche senza denunce qualificate e formali. E tuttavia, godendo delle stesse garanzie del giudice e non essendo elettivo, è irresponsabile e inamovibile. Ecco perché è l'unico organismo al mondo dove il potere non è coniugato alla responsabilità».
Con la riforma Cartabia vedremo qualche miglioramento?
«La riforma Cartabia non incide su questo punto, né potrebbe farlo, perché bisognerebbe cambiare sia la Costituzione sia il codice di procedura. Compito che spetta al parlamento».
Dobbiamo aspettare la prossima legislatura, insomma.
«Inevitabilmente. Questo parlamento non ha la possibilità né la volontà di fare certe riforme».
Forse il peggio lo vedremo nel frattempo. Lei ha scritto che qualche candidato al Quirinale potrebbe essere «attenzionato» da qualche toga. Cosa si aspetta?
«Sarà per puro caso, ma purtroppo l'esperienza ci insegna che le figure emergenti della politica che intendono riformare la giustizia vengono raggiunte da informazioni di garanzia o delegittimate da fughe di notizie sapientemente pilotate. È successo con Berlusconi, con Salvini e con altri, e ora con Renzi. È plausibile che in vista dell'elezione del presidente, o delle prossime elezioni politiche, lo stesso capiti a qualche altra personalità».
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Le conseguenze per la democrazia sarebbero devastanti.
«Vedremo. Bisogna pure mettere in conto che oggi la magistratura non ha più la credibilità di un tempo: parte della procura simbolo di Mani Pulite è indagata e un suo importante ex esponente, il dottor Davigo, poi finito al Csm, rischia di essere processato. Molti indagati cominciano a denunciare i pm, quando ravvisano abusi o anomalie, e i magistrati temono queste denunce, perché possono compromettere i loro avanzamenti e sono fonte di spese legali. Insomma, credo che la magistratura sarà più prudente: certe iniziative possono diventare un boomerang».
Eppure non si è vista molta prudenza nell'inchiesta su Open, la fondazione di Matteo Renzi. La legge che consente alle fondazioni vicine ai politici di accettare soldi dai privati sembrava la soluzione. Ora i magistrati accusano i politici di usarle per ricevere finanziamenti illeciti. È scritta male quella legge o certe procure la interpretano come vogliono?
«Platone diceva che è meglio avere una legge pessima e un giudice ottimo piuttosto del contrario. Qui, purtroppo, abbiamo una legge - come tante negli ultimi anni scritta male ed esposta ad equivoci. Nonostante questo, un magistrato non può attribuirsi il compito di decidere cosa sia un partito e cosa no, altrimenti interferisce con l'attività politica. E in effetti quello di Renzi è il primo vero processo "politico", in senso tecnico, della nostra storia repubblicana».
Sarebbe nell'interesse di tutti i partiti che la legge sulle fondazioni politiche funzionasse bene. Invece, nel caso di Renzi, tutti zitti, a godersi lo spettacolo.
«Negli ultimi vent' anni, purtroppo, i politici hanno sfruttato le inchieste giudiziarie per eliminare l'avversario che non riuscivano a battere nelle urne, senza pensare che la stessa sorte, alla fine, sarebbe toccata anche a loro. Questo ha prodotto un grave squilibrio istituzionale, che tocca alla politica rimediare».
Come potrebbe farlo? I politici sono terrorizzati dai magistrati.
«I politici non hanno fatto nulla anche perché erano intimoriti dalla magistratura. Ma ora - lo dico con il dolore di un magistrato - questa è così screditata dagli scandali che la politica può riappropriarsi del suo ruolo primario, derivante dall'investitura popolare».
Nessuno si è mosso nemmeno quando Lorenzo Cesa ha raccontato di essere stato indagato dopo essersi rifiutato di dare la fiducia al terzo governo Conte. Le pare normale?
«Certo che no. Se è vero quello che è stato scritto, che cioè l'onorevole Cesa sarebbe stato avvicinato da un membro dei servizi per condizionare il suo voto, sarebbe di una gravità inaudita. Su questo il parlamento deve far luce».
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L'inchiesta su Renzi è lunga oltre 90mila pagine, e non è la prima volta che accade. Non è, già questo, una lesione del diritto a difendersi in un giusto processo?
«Il numero delle pagine generalmente è proporzionale al numero degli indagati e dei reati contestati. Si tratta tuttavia di vederne il contenuto. Per alcuni reati può esser necessaria un'ampia documentazione, come nei casi di falsi in bilancio. Per altri, anche gravissimi, bastano poche righe, come quando un corriere della droga vien trovato in possesso di un chilo di eroina. Ma nel fascicolo della fondazione Open, a quanto si è letto, sono finite cose che con l'indagine non c'entrano nulla. E se queste vulnerano la privacy del cittadino, sarebbe bene che intervenisse una legge a limitarne o proibirne il deposito e la pubblicazione».
Secondo la Costituzione, per intercettare i parlamentari è necessaria l'autorizzazione della Camera di appartenenza. Ravvede una possibile violazione nel modo in cui è stata condotta l'inchiesta su Renzi?
«Non avendo letto le carte non posso dare un giudizio, ma avendo sentito il discorso di Renzi alla Leopolda, e ritenendolo persona che sa quel che dice, credo proprio di sì. Ha annunciato denunce: secondo me ha il diritto e anche il dovere di farle».
Intanto è passato quasi un anno dalla pubblicazione del libro di Sallusti e Palamara, e poco o nulla è cambiato. Di chi è la colpa?
«Del Csm, che ha creduto di mettere il coperchio sulla pentola bollente, radiando Palamara come se fosse l'unico responsabile del sistema. Ma quando in primavera si aprirà il processo contro di lui, e saranno sentite decine di testimoni, la pentola rischierà di esplodere».
Lei caldeggia il sorteggio dei membri del Csm come cura alla malattia delle correnti, ma il ministro e il parlamento sono di avviso diverso. Esistono altre soluzioni?
«Si potrebbe aumentare il numero dei membri laici, o estendere l'elettorato attivo oltre a quello dei magistrati. Ma si rischierebbe di sottomettere la magistratura ad un controllo politico, cosa che nemmeno io auspico, nonostante le critiche severe che da anni rivolgo a questo sistema. Il sorteggio dovrebbe avvenire nell'ambito di un canestro composto da docenti universitari di materie giuridiche, magistrati già valutati quattro volte e presidenti degli ordini forensi. Tutte persone per definizione preparate e intelligenti. Non vedo che rischi ci sarebbero».
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