Toghe e dintorni
Magistratura, quei pm terrorizzati dall'impopolarità: è cambiato il vento
Ciò che impaurisce maggiormente gli influencer della magistratura è di perdere l'accreditamento popolare di cui ritenevano di poter godere in modo irrevocabile. I giornali amici, cioè pressoché tutti i giornali, e le televisioni trasformate nel loro proscenio, cioè pressoché tutte le televisioni, hanno fatto il possibile, e continuano, per tenere chiuso il coperchio del pentolone in cui ribolle la polta della corruzione togata: ma è uno zelo insufficiente a trattenere tutta quella robaccia, che ormai erompe in incontenibili sbuffi fetidi.
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E il fatto che quel deterioramento di immagine comprometta la credibilità istituzionale di un comparto importante dell'amministrazione pubblica non basta a trattenere la voglia di dirgli: "Ben vi sta". Perché questa ripulsa popolare non ci sarebbe stata se i magistrati che ora la subiscono non avessero preteso di fondare il proprio potere, e molte delle indagini e dei processi ingiusti che hanno intentato, esattamente sul consenso popolare che ora gli si rivolta contro. E questo vale anche, direi soprattutto, per quelli che rivendicavano il loro dovere di "tirare dritto" a prescindere dal riscontro sociale della loro attività: una rivendicazione non proprio credibile quando è fatta negli studi televisivi in cui stai stravaccato ogni giorno o negli ettari di interviste che fanno promotion delle tue gesta.
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Sono pessimi, gli applausi ai magistrati. Ma i magistrati li ricercavano e gli piacevano. Se adesso arrivano le pernacchie, che comunque fanno meno male delle manette, non è bello: ma è un'altra forma della giustizia sociale che impropriamente la magistratura pretendeva di modellare.