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Giustizia, l'avvertimento di Filippo Facci a Marta Cartabia: occhio a giocare coi reati di mafia, rischiamo grosso
Cedere alla demagogia grillina ossia sottrarre i reati di mafia alla riforma della Giustizia- sarebbe un errore molto grave di cui non sappiamo se Marta Cartabia e Mario Draghi si rendano conto. Forse pensano che i cosiddetti reati di mafia siano un mondo a parte, qualcosa che non inciderebbe sulla mole complessiva di inchieste e processi che invischiano il sistema giudiziario ed economico: l'errore, nel caso, starebbe qui. Come sa la maggior parte dei giuristi, tutta la vigente legislazione antimafia offre il fianco a dubbi di legittimità costituzionale e contrasta soprattutto con molte convenzioni internazionali: il diritto europeo, proprio quello, ha sempre chiuso un occhio sulle nostre leggi «speciali» in quanto ritenute ben circoscritte, ma nel momento in cui fossero estese a un'ampia porzione di cittadini (che è quello che già succede con mille pretesti) diverrebbe lampante l'amara verità, cioè che abbiamo delle leggi antimafia che sono degne di uno stato di polizia. I vari magistrati antimafia, con le loro scorte che li difendono da una criminalità organizzata che non uccide più magistrati da decenni, possono sbraitare sinché vogliono: ma vivono fuori dal mondo, fuori dall'Europa e fuori dal diritto occidentale. Il risultato è che il grillino Nicola Morra, presidente dell'inutilissima «Commissione parlamentare antimafia», è riuscito a dire che «l'Europa continua a mostrare indifferenza per le mafie». Facciamo qualche esempio, senza addentrarci nel ginepraio giurisprudenziale.
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«LEGGI SPECIALI»
L'ergastolo: la Corte di Strasburgo lo ha già deciso da un pezzo che l'ergastolo all'italiana, cosiddetto «ostativo», non va bene: e infatti noi l'avevamo già abolito nel 1974 in ossequio all'articolo 27 della Costituzione, ma poi l'abbiamo ripristinato all'inizio degli anni Novanta (periodo delle stragi corleonesi) assieme ad altre norme tutte nostre che appunto hanno trasformato la legislazione antimafia in un unicum occidentale, dove lo stato di diritto ce lo siamo un po' scordato. L'ergastolo normale sarebbe quello che dura trent' anni, mentre quello ostativo è quello ricattatorio che impedisce al condannato di fruire di ogni beneficio qualora non collabori con la giustizia, insomma è quello che abbiamo imparato da bambini e che corrisponde al celebre «fine pena mai». L'ergastolo ostativo, ossia che «osta» a qualsiasi cambiamento, appartiene all'emergenza del periodo in cui furono uccisi Falcone e Borsellino, dunque a un momento storico e a una mafia militarizzata che non esistono più se non nel cervello di chi li rievoca e ri-processa continuamente, quasi ne avesse nostalgia. Più in generale, esiste una cosa che si chiama Convenzione europea dei diritti umani che fa clamorosamente a pugni con una parte del nostro ordinamento: se un tempo a giustificare certe «leggi speciali» c'era un'emergenza, le stesse leggi, in seguito, sono rimaste ostaggio della demagogia politica di chi non ha più osato toccarle per non sembrare ogni volta amico di mafiosi e corrotti. Il modus ricattatorio prosegue da una vita, ogni volta è «un favore ai mafiosi» o «la mafia applaude». Ma l'Italia, per dire, è stata anche condannata per la sua applicazione del 41bis (il carcere duro) che secondo la Corte europea è spesso corrisposta a trattamenti inumani non giustificati: tuttavia il solo discuterne riporta ogni volta al giochino ricattatorio garantista=amico dei mafiosi, anche se le sentenze europee non paiono certo sospettabili di connivenze.
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COME NEL RESTO D'EUROPA
Ma c'è anche un problema procedurale. A Marta Cartabia e Mario Draghi andrebbe spiegato che, nel momento in cui la mafia storica non esiste più, tutto, nelle ipotesi dei magistrati, diviene potenzialmente mafioso. Tra presunte infiltrazioni della 'ndrangheta al Nord e contestazioni di reato palesemente pretestuose (per de-rubricare c'è sempre tempo) il rischio è che servano otto anni, ad esempio, per accorgersi che il processo chiamato ancor oggi «mafia capitale» non abbia mai avuto traccia di mafia. Anche perché la mafia militare, tipicamente corleonese, è morta e sepolta, tutti i boss sono morti o in galera, lo stesso Riina nelle sue conversazioni intercettate mostrava di non sapere chi fosse questo nuovo capo Matteo Messina Denaro: a esistere residualmente è una criminalità organizzata che esisterà sempre in tutto il mondo: di più basso profilo, con la propensione a imbrigliare più che a trucidare, silente e sommersa e tuttavia sprovvista di struttura gerarchico -militare, senza killer, estorsori, picciotti e prestanome, senza che però abbisogni di leggi speciali fuori dall'Europa dove quel genere di criminalità c'è, sì, però le leggi speciali no, non ci sono. Perché non ci sono più le bombe, le stragi e gli omicidi seriali, la presa rigorosa sul territorio: c'è il riciclaggio, la finanza, gli appalti, gli affari, gli illeciti puniti dalla legge ordinaria ma che lasciano orfana, oggi, un'antimafia retorica e professionale che processa e riprocessa solo fatti di trent' anni fa. Si può dire che l'Italia sia un Paese corrotto e consociativo, guardando al bicchiere mezzo vuoto: mano, mafioso non più.