Solito noto

Piercamillo Davigo contro Matteo Salvini e Lega: "Scippatori liberi grazie al loro referendum", ecco perché non è vero

Paolo Ferrari

L'ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo ha scritto ieri sul Fatto che il terzo quesito dei referendum sulla giustizia, quello sulla custodia cautelare, avrebbe effetti «devastanti», in pratica tutti i delinquenti sarebbero liberi di circolare indisturbati. Pur sapendo, avendo fatto il magistrato per una vita, che le carceri scoppiano e che almeno la metà dei detenuti non ha ancora avuto un giudizio definitivo, Davigo esordisce dicendo che non serve arrivare fino all'ultimo grado di giudizio per essere definiti non innocenti, ma che sia sufficiente la sentenza di primo grado. Non è una grande novità. Davigo ha sempre ribadito, in linea con le tesi della magistratura associata che al tempo aveva trovato anche il benestare del grillino ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che l'appello fosse per lo più una perdita di tempo con cui si dimenava la difesa e che si trattasse in generale di uno strumento per raggiungere l'agognata prescrizione, poi infatti abolita proprio dopo la sentenza di primo grado.

 

 

 

Partendo quindi dal singolare concetto di carcere che dovrebbe ospitare i condannati del primo grado di giudizio, Davigo sottolinea che il referendum andrebbe a limitare l'applicazione del carcere preventivo solo ai «casi più gravi». Intanto andrebbe ricordato che, come prevede la Costituzione, la carcerazione preventiva è una forma di limitazione della libertà personale e come tale dovrebbe applicarsi secondo il principio della extrema ratio. Quindi solo se necessaria e laddove le esigenze cautelari non sarebbero tutelabili con altre misure diverse dal carcere, per esempio un divieto di dimora o un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Anche queste sono misure cautelari, che per i casi di reati me no gravi consentirebbero un controllo sul soggetto che potrebbe essere a rischio di reiterazione del reato, ma al contempo impedirebbero l'abuso della carcerazione preventiva con la disinvoltura degli ultimi decenni. Ci si dimentica, infatti, il ventaglio di misure cautelari diverse dal carcere e comunque altrettanto idonee a contenere le esigenze e rispettando la libertà personale come bene supremo, non comprimibile se non per casi eccezionali.

 

 

 

Esempio sbagliato

Davigo sostiene che chi commette uno scippo, se passasse il referendum, non sarebbe sottoponibile a misura cautelare. Ma non è vero. La parte dell'articolo che rimarrebbe dopo l'abrogazione referendaria prevede l'applicazione della misura in caso di reato commesso con violenza o, ad esempio, con armi. Le rapine o gli scippi richiamati da Davigo non sono quasi mai commessi in assenza di violenza o uso di armi e certamente, se così non fosse, il reato sarebbe non così grave da dover ammettere che rientri nelle ipotesi della cosiddetta extrema ratio. Nessuna modifica viene apportata, comunque, al pericolo di fuga come motivo per applicare la custodia cautelare in carcere. A Davigo piace l'idea di stuzzicare il leader della Lega Matteo Salvini sul tema dei detenuti stranieri che uscirebbero dal carcere. Bene, l'ex pm dimentica che per chi - italiano o straniero che sia - manchino certezze sul luogo di residenza o ci siano concreti collegamenti con l'estero, la misura della custodia in carcere verrebbe applicata anche solo sulla scorta del pericolo di fuga, che può essere di per sé sufficiente a incarcerare un indagato anche senza pericolo di reiterazione del reato. Del resto l'abrogazione referendaria non andrebbe a toccare i limiti edittali di pena massima dei 5 anni per i reati a cui applicare la custodia cautelare in carcere. Ma il tema vero è un altro: la modifica proposta dal quesito referendario elimina finalmente l'abuso della carcerazione preventiva. Spiace a Davigo che ci debba essere una rinuncia a vedere un bancarottiere in carcere o un reo di "reato di corrotto". Nel nostro Paese vige ancora in Costituzione il principio che la libertà personale è un bene inderogabile e come tale sopprimibile solo a fronte di esigenze altrettanto inderogabili come, appunto, la sicurezza sociale. Diversamente, in assenza di questo ben noto criterio del bilanciamento dei diritti di pari rango costituzionale, le nostre carceri, che già scoppiano di persone in attesa di giudizio, sarebbero ancora più lontane da quella dignità umana per cui la Ce du ci condanna un giorno sì e l'altro pure.