Rischio-processo

Vittorio Sgarbi, il caso delle opere d'arte false autenticate: "Magistrati fuorilegge". Ma spunta una telefonata al ministero...

"L'inchiesta è una totale invenzione". Vittorio Sgarbi, furibondo, replica alle accuse mosse dai pm di Roma che gli contestano di aver autenticato almeno 32 quadri di Gino De Dominicis che sapeva essere falsi e di far parte di un'associazione a delinquere che realizzerebbe finti quadri dell'artista marchigiano per poi autenticarli. Accuse che Sgarbi rispedisce al mittente giudicandole frutto di "un'azione assurda" che potrebbero, però, costargli un rinvio a giudizio dal momento che oggi 16 giugno si svolge l'udienza preliminare in cui si decide se andrà a processo con l'accusa di associazione per delinquere. Il critico d'arte respinge in toto l'indagine: "La mia posizione precisa è che si tratta di capolavori di De Dominicis e li autentico come mi pare. L'argomento non esiste, è un'azione del tutto assurda di magistrati che tra l'altro ho anche fatto sconfessare dal Csm perché l'indagine è stata fatta in maniera grottesca su un autore che è morto nel '98, le cui opere quindi hanno meno di 50 anni. Non esiste il problema, nessuno falsificherebbe".

 

 

L'inchiesta, secondo Sgarbi, si baserebbe su "una pura invenzione di un personaggio, l'avvocato Tomassoni innamorato di De Dominicis, che ha dichiarato false le opere comprate dal grande imprenditore Koelliker che invece sono tutte buone, le mie perizie sono tutte perfette. L'argomento non esiste. Il collezionista che le ha comprate è straordinario, di falsi non ce n'è neanche uno. In ogni caso io ho fatto delle perizie per opere che ritengo vere".

Sgarbi sostiene, poi, che De Dominicis è "un'artista concettuale e le opere concettuali non sono fatte a mano ma con la mente. L'avvocato penserà a tutto, non ci sarà alcun rinvio a giudizio perché le opere sono tutte buone e l'assunto è del tutto falso. L'unica cosa falsa è l'assunto di questa inchiesta", conclude Sgarbi.

 

 

La Repubblica parla di alcune telefonate che Sgarbi fece quando venne a sapere dell'inchiesta che lo coinvolgeva. Telefonate al comandante generale dell'Arma, alla presidenza del Consiglio, a due ministri, Roberta Pinotti e Dario Franceschini, a un generale di brigata. Telefonate di cui è rimasta traccia negli atti. "Sì, ho chiamato Pinotti, Gallitelli e prima il generale Mossa, che guidava il Comando tutela patrimonio", ammette quindi Sgarbi. "Ero indignato, perché hanno messo in dubbio la mia competenza, senza neanche interrogarmi. Non era un tentativo di bloccare l'indagine, ma considero quei pm degli autentici fuorilegge".