Leo in Ucraina: ecco la mostra fotografica itinerante

Al rientro dall’ultima missione umanitaria in Ucraina i Leo (la sezione dei Lions riservata ai giovani) hanno preparato una mostra fotografica itinerante per far conoscere la loro esperienza e trasmettere le loro emozioni.

Questa missione è stata principalmente “sociale”, per far percepire vicinanza anche in periodi simbolicamente significativi come il capodanno e non solo di aiuti materiali come le precedenti che avevano avuto carature squisitamente operative, con consegna di materiali, attrezzature, cibo, medicinali oppure per l’attivazione e verifica periodica dell’utilizzo di un dissalatore “da bunker” con piccolo gruppo di continuità donato a Mikolaiv e si aggiungevano alla serie di interventi sviluppati dai Lions in Ucraina, ad esempio con numerose donazioni di gruppi elettrogeni e di organizzazione di campi profughi nel paesi confinanti.

Adesso è stata avviata una campagna per consegnare stufe per cucinare: elettricità e gas praticamente non sono disponibili, la legna sì ed allora è stato sviluppato un progetto di stufa semplice, ma essenziale e a breve inizierà la distribuzione, magari accompagnata da una nuova missione.

Abbiamo intervistato due sorelle principali artefici della preparazione della mostra fotografica. Eccola.

Gli attacchi missilistici di questi giorni sull’Ucraina spaventano l’Europa ed in particolare noi, diciotto ragazzi che tra dicembre e gennaio si sono recati per portare aiuti umanitari e un po’ di spensieratezza proprio nelle città che oggi sono nel mirino dei giornalisti a causa dei forti attacchi subiti,

.Tremiamo all’idea che un palazzo, una persona, un luogo che abbiamo visto, visitato, vissuto, possa non esserci più. Ogni volta che visitiamo questo Paese, l’ambiente che ci circonda pare differente: quell’edificio tanto bello, è adesso un cumulo di macerie, e quel palazzo, dove sicuramente vivevano mamme, papà e bambini, ora non è che un edificio pericolante e senza nome. La gente del posto passa aBianco a edifici così, edifici che potevano essere casa loro, tutti i giorni, senza battere ciglio. È la normalizzazione della guerra, la gente è stremata.

Ogni volta che visitiamo questo Paese, l’ambiente che ci circonda pare differente: quel mucchio di macerie è tornato un palazzo, quelle finestre in pezzi e sostituite da pannelli di compensato sono di nuovo di vetro e quel tetto a pezzi, che lascia entrare la pioggia, ora ripara i suoi inquilini. È questo quello che vogliamo dire con la nostra mostra: io e mia sorella Rebecca, rispettivamente di 22 e 20 anni, siamo stati sei e quattro volte in Ucraina a portare sollievo alla comunità. Grazie alle nostre fotografie e quelle di tanti altri volontari, abbiamo creato una mostra fotografica dal nome “Give Peace a Chance – Diamo una Possibilità alla pace”.

La mostra è divisa in due momenti: il primo è introdotto da un pannello raffigurante il testo della canzone “Masters of War” di Bob Dylan, che tratta delle atrocità della guerra. Tutti gli scatti che seguono sono in bianco e nero: carri armati, edifici distrutti, uomini e donne che contemplano ciò che resta della loro casa a pezzi. Il secondo momento è introdotto da un testo tratto dal diario di Anna Frank, che mostra, invece, la forza della vita e la forza dell’umanità: “credo ancora nell’intima bontà dell’uomo”, afferma. Gli scatti che seguono sono in bianco e nero, ma recano un soggetto positivo colorato. Queste fotografie vogliono mostrare la scintilla della speranza. È questo che facciamo noi volontari: gli aiuti umanitari che possiamo portare sono pochi, rispetto al bisogno e alla domanda degli ucraini che ogni giorno vivono in case senza finestre e/o tetti, resistendo al rigido inverno ucraino senza riscaldamento e gas. La nostra forza risiede nel portare una luce di speranza, “uno schizzo di colore” alla popolazione. Mostriamo alla gente, alle mamme e ai (pochi) papà, ai ragazzi e alle ragazze e soprattutto ai bambini che l’Italia è con loro, è vicina e loro, e non li lascia soli. Senza dar conto alla politica, senza prendere parte, noi stiamo vicino alla popolazione e urliamo a gran voce “non siete soli”.