L'incontro

"Per sempre fedele": il romanzo-diario sul capitano dei carabinieri Mario D'Aleo

Un giovane uomo, la sua divisa, il giuramento di fedeltà al Paese e la lotta alla mafia, restando sempre fedele a sé stesso. Mario D’Aleo, Vittima del Dovere e di mafia, trucidato giovanissimo sotto casa della fidanzata che presto sarebbe diventata sua moglie, si racconta in prima persona, in una sorta di diario attraverso il quale gli autori, la giornalista Valentina Rigano e il nipote del capitano, Marco D'Aleo, hanno voluto ripercorrere la sua vita.

La passione per il calcio da ragazzino, l’esperienza nelle giovanili della Lazio, la scelta tra la “divisa” della passione e quella del servizio. Le sue fragilità, in un dialogo immaginario con se stesso, che gli autori hanno costruito partendo dalle testimonianze dei familiari, di amici, colleghi e dalle carte del processo dei suoi assassini, emergono come quelle di un qualsiasi uomo che suo malgrado arriva a vestire i panni dell’eroe, sapendo perfettamente di rischiare il sacrificio della vita, pur di portare a termine il suo dovere. La gioventù in Accademia, le difficoltà della scelta di una vita militare, all’epoca ancor più rigorosa di oggi, raccontate con sincerità e fedeltà, per poi approdare alle sue scelte professionali, umane, il desiderio di fare la sua parte in una terra difficile, con determinazione e passione. “Per Sempre Fedele – Diario di un uomo tra pagine di mafia”, è il romanzo diario di un giovane rappresentante di Stato che ha dato il meglio di sé alla divisa che ha indossato, è la storia di una mafia che non ha vinto, perché le azioni di chi si è sacrificato per combatterla sopravvivono ad essa. Un tributo e una memoria di un agire animato dai valori di legalità e giustizia che ha origine nell’uomo, prima ancora che nella divisa che indossa. Una storia troppo a lungo dimenticata, della quale nel romanzo sono inseriti anche stralci del fascicolo processuale, crudi e terrificanti ancora oggi, che costituisce però un tassello fondamentale nella narrazione della lotta alla mafia nel nostro Paese. Nel racconto della vita del militare e dell’uomo, vi sono le parole di chi lo ha conosciuto e amato, testimonianze reali e le sensazioni di chi è un figlio, un fratello, un fidanzato, un amico, con la fiamma cucita sul petto.

Mario D’Aleo, Capitano dei carabinieri, romano e ultimo di tre fratelli, aveva 26 anni quando assunse il comando della Compagnia Carabinieri di Monreale (Palermo), nel 1980, ruolo che era stato del Capitano Emanuele Basile, ucciso in piazza a colpi di pistola, mentre passeggiava con la figlia in braccio. Il Capitano D’Aleo dedicò anima e corpo alla ricerca degli assassini di Basile e nel combattere la guerra alla mafia, forte della collaborazione di tanti validi uomini. Fu il primo a portare in caserma Giovanni Brusca, nel tentativo di scoprire dove si nascondesse Totò Riina. Lavorò nella Sicilia di Falcone e Borsellino, con i quali collaborò, pianse la morte del Generale Dalla Chiesa, e con passione e determinazione, ma anche con tanta umanità, si conquistò la fiducia e l’amicizia della sua nuova terra. Il 13 giugno 1983 D’Aleo fu freddato in un agguato sotto casa della fidanzata, insieme a due validi collaboratori, per aver “attaccato” da vicino le famiglie malavitose, e la sua condanna a morte fu emessa dalle famiglie Riina, Provenzano e Brusca.

La Corte di Assise di Palermo: “Il Capitano D’Aleo stava mettendo in pericolo la latitanza di due boss del calibro di Bernardo Brusca e Salvatore Riina. Pertanto, è lecito ritenere che la motivazione dell’uccisione del Capitano D’Aleo risieda nella necessità di fermare un’azione di polizia giudiziaria che prima o poi avrebbe dato i suoi frutti con danni incalcolabili, essendosi peraltro acquisita la consapevolezza che ci si trovava di fronte ad un servitore dello Stato determinato e in grado di mettere a repentaglio lo stesso prestigio da sempre goduto dai mafiosi in quel territorio”.