Maquillage a Bruxelles

Ursula Von der Leyen conferma il Green Deal: cambia solo il nome

L’annuncio è di quelli bomba. Avete presente il green deal che ha mandato a gambe all’aria l’automotive, messo in ginocchio intere filiere produttive, provocato danni diretti e collaterali che hanno minato la competitività dell’Europa? Bene, dimenticatelo. Roba vecchia, sorpassata, obsoleta. La Ue ha un nuovo parlamento, una nuova commissione e una nuova, che però è sempre la stessa, presidente. Ed ecco la svolta: arriva il Clean Industrial Deal.

Addio Greta Thunberg, eco follie, diktat verdi? Calma. L'atteso piano messo a punto dall'esecutivo di Ursula von der Leyen ha visto la luce ieri, affiancato da un pacchetto per snellire la burocrazia e da misure per abbassare le bollette. Queste le macro linee (per i dettagli bisognerà aspettare): meno vincoli ambientali per le imprese, norme per facilitare gli aiuti di Stato e l'opzione del Buy European. Tutte armi per rilanciare la competitività europea schiacciata da Stati Uniti e Cina. «Vogliamo tagliare i legami burocratici che vi trattengono», ha assicurato la leader tedesca rivolgendosi direttamente rappresentanti industriali riuniti ad Anversa, portando con sé la promessa di un continente «di innovazione e produzione industriale».

 

 

 

L'ambizione, a parole, non manca. Guardando con un po’ più di attenzione, però, il rischio che la ciambella sia venuta senza buco è più che concreto. Intanto i finanziamenti. Il commissario Ue per l'Energia, Dan Jorgensen, usa l'ironia per assicurare che alla Commissione europea si giuri sul report Draghi come altrove sulla Bibbia, ma la linea dell'ex premier sulla necessità di nuovi fondi per non precipitare in «una lenta agonia» sembra disattesa. Il piano prevede di mobilitare solo 100 miliardi di euro, una cifra ben lontana dalle necessità stimate dall'ex numero uno dell'Eurotower. E di soldi freschi, in realtà, se ne vedono pochi: soltanto un ulteriore miliardo di euro di garanzie nell'ambito dell'attuale quadro finanziario pluriennale e la promessa di lanciare una Banca per la decarbonizzazione su cui far leva per mobilitare la somma nei prossimi dieci anni.

 

 

 

Ma lasciamo stare i soldi. La cosa più bizzarra è che gli obiettivi restano identici. Del resto, come ammette la von der Leyen, la certezza dei target, «dà la prevedibilità di cui l’industria ha bisogno per pianificare gli investimenti». Ed ecco quindi confermato lo stop ad auto diesel e benzina dal 2035, confermato l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050, confermata la valanga di balzelli per chi produce o importa CO2. L’imperativo, come dice la presidente Ue, è «semplificare senza cambiare gli obiettivi climatici».

In altre parole, una presa in giro. In perfetto stile woke, Bruxelles cambia le parole pensando in questo modo di cambiare la realtà.
Il green diventa clean, ma la sostanza non cambia: la Ue conferma la sua agenda di decarbonizzazione, tentando di renderla più digeribile con un alleggerimento del carico normativo sulle spalle delle aziende. Tassonomia, tassa sul carbonio alle frontiere, norme sulla sostenibilità aziendale e obbligo di rendicontazione restano. Ma Bruxelles promette che gli adempimenti saranno snelliti. Per chi non avesse capito, «semplificazione non vuol dire deregulation: non stiamo cambiando i nostri target del Green deal, che rimangono dove sono», hanno scandito a più riprese Ribera e il commissario Ue all'Economia, Valdis Dombrovskis.

La tagliola burocratica è finalizzata a ridurre del 35% gli oneri amministrativi per le Pmi entro il 2029, con un risparmio stimato di 6,3 miliardi, mentre le misure relative al costo dell’energia dovrebbero portare a un «risparmio complessivo stimato di 45 miliardi nel 2025, che aumenterà progressivamente fino a 260 miliardi di euro entro il 2040». Non per essere disfattisti, ma anche il green deal prometteva grandi benefici economici. Poi ha devastato l’economia. Sarà un caso, ma il piano piace tanto a verdi e sinistra. Il commento di Matteo Salvini? «Perseverare è diabolico».