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"Obbligo d'origine". L'Ue ribalta le etichette: a quali alimenti dovrete fare attenzione
Il nuovo regolamento europeo sull’etichettatura entrato in vigore il 1° gennaio ha introdotto alcune novità, per altro annunciate e attese da tempo. Innanzitutto scatta l’obbligo di indicare il Paese d’origine per la frutta secca sgusciata o essiccata, dalle nocciole alle mandorle, dai fichi secchi ai pistacchi. Il medesimo obbligo scatta pure per i prodotti della quarta gamma, quelli lavati e imbustati, come la lattuga e l’indivia.
Origine in chiaro anche per funghi non coltivati, zafferano e capperi.
Le informazioni sull’origine devono essere chiaramente visibili sull’etichetta e devono risaltare maggiormente rispetto all’indicazione del Paese in cui è avvenuto l’imballaggio o il confezionamento.
L’obbligo per la frutta secca sgusciata colma una lacuna che si trascinava da anni, visto che per la frutta secca in guscio il vincolo dell’origine era già in vigore. Fra l’altro, secondo un’approfondita indagine condotta lo scorso anno dall’Ismea e presentata all’ultima edizione di Macfrut. Con 270mila tonnellate la produzione di nocciole, mandorle, noci, castagne e pistacchi colloca l’Italia nella top 10 dei produttori mondiali di frutta secca, anche se nell’ultimo decennio, nonostante l’aumento delle superfici investite, gli eventi climatici eccezionali hanno penalizzato le rese, riducendo l’offerta interna del 7%. Un taglio che ha reso necessario un maggiore ricorso ai prodotti d’importazione.
Nel 2023 abbiamo importato 460mila tonnellate di frutta secca, quasi due volte la produzione nazionale, per un controvalore di 1,4 miliardi di euro. Si tratta soprattutto di forniture extra-Ue con Usa, Turchia e Cile che insieme concentrano oltre il 50% dei volumi totali. Mentre dalla Spagna arriva circa il 12% del nostro import. L’Italia è il sesto maggiore importatore mondiale di frutta in guscio, anche per il rilevante fabbisogno dell’industria dolciaria nazionale, cui si è aggiunta di recente la forte diffusione di prodotti innovativi, quali bustine di frutta secca e barrette energetiche o dietetiche.
Questi prodotti hanno contribuito a destagionalizzare il consumo di frutta in guscio, svincolandolo dalle tradizionali occasioni legate a ricorrenze e festività. Ma hanno fatto crescere il deficit produttivo.
Sempre secondo i dati Ismea, nel 2023 la spesa delle famiglie italiane per gli acquisti di frutta in guscio tal quale ha totalizzato 1,1 miliardi di euro, dei quali 911 milioni di prodotto confezionato), per volumi complessivi superiori a 115mila tonnellate. Significativo l’incremento anche rispetto all’anno dell’emergenza Covid, quando le vendite sul circuito domestico avevano registrato un picco di crescita. Rispetto al 2020 gli acquisti sono infatti cresciuti dell’11% in quantità e del 16% in valore.
Secondo un’analisi condotta dall’Università La Sapienza di Roma, in cima alle preferenze dei consumatori ci sono noci e mandorle particolarmente apprezzate per le proprietà nutritive, davanti alle nocciole. Seguono pistacchi ed arachidi, per i quali la spinta all’acquisto è correlata soprattutto a fattori edonistici e, infine, le castagne, il cui consumo risente ancora però di una forte componente stagionale.
Vale la pena di sottolineare che il sistema di etichettatura europeo è tuttora in fase di revisione. L’intervento rinviato la scorsa legislatura, dopo le polemiche suscitate dal tentativo di alcuni Paesi di imporre l’etichetta a semaforo, rischia però di peggiorare la trasparenza a tavola, visto che almeno la metà dei cibi commercializzati in Italia con l’origine obbligatoria in etichetta, sono tali in virtù di norme sperimentali introdotte dai nostri governi a partire dal 2017. E per molte referenze l’obbligo di dichiarare il Paese di provenienza rischia di essere cassato con l’arrivo del nuovo regolamento Ue.
È il caso ad esempio di pasta, riso, salumi, formaggi, latte a lunga conservazione.