Il commento

Ursula von der Leyen cerca voti a destra e sinistra? Meloni presenta il conto

Fausto Carioti

La settimana decisiva è questa e i Popolari europei, che candidano la tedesca Ursula von der Leyen alla guida della commissione Ue, già da qualche giorno sono convinti che, alla fine, i ventiquattro eletti di Fdi a Strasburgo saranno dalla loro parte. I diretti interessati e la loro leader Giorgia Meloni, invece, questa convinzione non la hanno. Tanto che un semplice “patto di non belligeranza” ieri sera appariva una scelta più probabile del voto favorevole. Molto, fanno sapere, dipenderà da ciò che von der Leyen dirà oggi alla delegazione di Ecr, la famiglia dei conservatori europei alla quale appartengono, presieduta dalla stessa Meloni.

La candidata al bis intende rendere il “Green deal” meno penalizzante per consumatori e imprese? Gli accordi con i Paesi africani per fermare gli immigrati illegali prima che s’imbarchino proseguiranno? La prossima commissione è disposta a rispettare ed allargare la sfera della sovranità degli Stati nazionali, ristretta negli anni passati dall’invasività delle istituzioni di Bruxelles? Sono alcune delle domande che le faranno Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo Ecr, e gli altri eurodeputati conservatori. I quali, poi, tireranno le somme. Sapendo già che i partiti del loro gruppo decideranno se sostenere o no von der Leyen anche in base all’interesse del Paese di appartenenza.

 

 

I rapporti tra la futura commissione ed Ecr, infatti, riguardano solo metà della partita. L’altra metà si gioca sui rapporti tra la commissione ed i singoli Stati. Un doppio binario che nell’europarlamento è normale. Il Partito democratico civico del premier ceco Petr Fiala ha già annunciato che voterà a favore di von der Leyen e probabilmente lo stesso faranno i belgi della Nuova alleanza fiamminga: ambedue i partiti appartengono ai conservatori europei, ma hanno buoni rapporti col Ppe e interesse a convivere nel migliore dei modi con la commissione.

La stessa Meloni, che in Italia è premier e leader del primo partito della maggioranza, ha assicurato che metterà l’interesse nazionale prima di quello del gruppo dei conservatori. Un peso decisivo lo avranno quindi il programma di von der Leyen in materia di immigrazione, le garanzie che potrà dare sul modo in cui la prossima commissione affronterà il dossier dei conti pubblici italiani e l’incarico che sarà assegnato al commissario Ue in quota all’Italia: peso del portafoglio e abbinamento con una vicepresidenza esecutiva. Un posto per il quale Raffaele Fitto pare non avere concorrenza.

I segnali giunti da von der Leyen sono contrastanti. Il suo interesse a farsi votare almeno da alcuni dei 78 eurodeputati conservatori è noto. Ma sinora non ha fatto molto per convincerli. Anzi. Ieri ha incontrato gli eletti del gruppo di sinistra “The Left”, quello di Sinistra italiana e dei Cinque Stelle. I quali non la voteranno, ma hanno avuto da lei la garanzia che «non ci non ci sarà una cooperazione strutturale con il gruppo Ecr» (e l’aggettivo è messo lì proprio per consentire un certo livello di ambiguità). A loro, la presidente designata ha anche promesso una legge per accelerare la decarbonizzazione e un commissario che si occupi dell’emergenza abitativa.

Questo conferma che von der Leyen è a caccia di consensi al di là della sua coalizione, composta da Ppe, Socialisti e liberali di Renew Europe, e che li sta cercando tanto a destra quanto a sinistra, con uguale determinazione. Solo giovedì, quando illustrerà il suo programma all’aula di Strasburgo prima di sottoporsi allo scrutinio segreto, si capirà se le aperture che farà a una parte saranno compatibili con quelle fatte all’altra.

La speranza del Pd, che appartiene alla famiglia dei socialisti, è che i Verdi, grandi sconfitti del voto europeo, con i loro 53 eletti accettino di votare von der Leyen, rendendo così superfluo ogni accordo tra la presidente designata e Meloni. «Mi pare che si vada in questa direzione», dice speranzoso l’ex governatore Stefano Bonaccini. Buona parte dei rappresentanti del Ppe, a partire da Antonio Tajani e dal presidente Manfred Weber, non ha invece alcuna intenzione di aprire le porte ai Verdi e alle loro richieste.

Di sicuro, se vuole fare il bis, von der Leyen deve scendere a patti con qualcuno esterno alla “coalizione Ursula”. Le tre famiglie che ne fanno parte hanno 401 voti sulla carta, quaranta in più del necessario. Ma le defezioni saranno molte: alcune sono annunciate (i quattro irlandesi del Fianna Fáil, che appartiene al gruppo liberale, hanno già detto che non la voteranno) e altre si scopriranno solo a scrutinio avvenuto. Per evitare di finire impallinata dai franchi tiratori, von der Leyen ha bisogno di un margine di sicurezza ampio, che al momento non ha. A differenza della maltese Roberta Metsola, candidata del Ppe alla guida del parlamento europeo, la cui conferma nell’incarico che già occupa è prevista oggi, durante la prima seduta dell’assemblea.