Via al Piano Mattei
Giorgia Meloni, "senza Macron": il vertice che può cambiare tutto
Otto anni senza vedersi sono tanti, e pesano. L’ultimo vertice tra la Ue e la Celac, la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici, si era svolto nel 2015: prima del Covid e dell’invasione dell’Ucraina, insomma in un altro mondo. I leader dei 27 Stati europei e dei 33 Stati del Sud America (o i loro sostituti: non tutti si sono presentati) si sono appena incontrati a Bruxelles per due giorni, e non è andata bene. Troppe le distanze sui temi più importanti: l’aggressione russa all’Ucraina e i rapporti politici e commerciali con la Cina. Mentre l’Europa stava a guardare, Vladimir Putin e Xi Jinping si sono lavorati i capi di Stato e di governo di quei Paesi, e i risultati si sono visti.
Inutile, ad esempio, pretendere dal Nicaragua del sandinista Daniel Ortega l’adesione ad una dichiarazione finale che esprime, pur senza condannare la Russia, «profonda preoccupazione» per ciò che sta avvenendo in Ucraina (e infatti su quel documento non c’è stata l’unanimità). O dal brasiliano Lula da Silva qualcosa di diverso dalla critica alle sanzioni europee nei confronti della Russia. Tant’è che a metà pomeriggio, quando i colloqui per trovare una formula condivisa da tutti erano in alto mare, Giorgia Meloni ha preso l’aereo ed è tornata a Roma. Prima, però, la presidente del consiglio ha avuto modo di dire la sua davanti agli altri, e lo ha fatto fedele alla sua convinzione per cui il modo migliore di trattare è riconoscere i problemi sul tavolo.
Ha esordito chiedendo un confronto «il più possibile pragmatico e non ideologico» e chiedendo a tutti di «interrogarci su cosa non abbia funzionato, su cosa può funzionare meglio». Ha ammesso che l’Europa, in passato, «non abbia spesso riconosciuto come i problemi del mondo fossero anche problemi suoi», e che «noi», ossia noialtri europei, «eravamo convinti che potevamo salvarci da soli. Poi sono arrivati due choc come la crisi pandemica e l’aggressione russa contro l’Ucraina e ci siamo resi conto che non era così, perché viviamo in un mondo troppo interconnesso». Ha chiamato le cose col loro nome, condannando «l’invasione russa», e ha risposto a chi parlava di «pace» senza indicare quale fosse il problema: «La parola “pace” non può essere confusa con la parola “invasione”, perché sono due concetti molto diversi». Ha sollecitato gli amici sudamericani di Putin a riflettere sul mancato rinnovo dell’accordo sul grano da parte di Mosca, «segnale chiaro sul quale credo che tutti debbano interrogarsi, perché usare la materia prima che sfama il mondo come un’arma è un’offesa nei confronti dell’umanità».
Quindi, prendendo atto che l’alleanza tra Europa ed America Latina «forse si è un po’ sfilacciata negli ultimi tempi», ha chiesto di rinnovarla «col filo nuovo di una cooperazione non predatoria, ma paritaria, che deve assicurare pari benefici a tutti». Un invito a non guardare solo alla Cina, che quanto a politiche coloniali non è seconda a nessuno, e alla Russia, che minaccia di creare una crisi alimentare il cui prezzo lo pagheranno soprattutto i Paesi più poveri. Ha concluso citando i «martiri» Paolo Borsellino, della cui morte ricorre oggi l’anniversario, e Giovanni Falcone. Andrà meglio domenica a Roma, confidano nel governo. Nella Farnesina si svolgerà infatti la grande conferenza internazionale sullo sviluppo e le migrazioni, guidata dall’Italia e organizzata col sostegno degli Emirati arabi uniti. Sono attesi oltre venti capi di Stato e di governo, anche dai Paesi europei affacciati sul Mediterraneo (ma non dalla Francia di Emmanuel Macron, che non è stata invitata).
Ci saranno il presidente tunisino Kais Saied e il turco Recep Tayyip Erdogan, l’emiro del Qatar al-Thani, il presidente egiziano al-Sisi o il suo primo ministro, i vertici della Ue, dell’Onu, dell’Unhcr e di altre organizzazioni internazionali. L’idea è venuta alla premier a marzo, durante il viaggio negli Emirati, nel quale ha creato un buon rapporto col presidente Mohammed bin Zayed. Quindi Antonio Tajani e il suo omologo di Abu Dhabi hanno lavorato per organizzare l’evento, con il contributo iniziale dell’Eni e di altre amministrazioni. Lo chiamano «il percorso di Roma» e nelle speranze del governo comincerà domenica, segnando «l’inizio del piano Mattei». Voluto e ospitato dalla capitale italiana, senza passare per Bruxelles.