Nervi tesi

Crosetto contro la Bce: "Basta il buon senso di una massaia..."

Michele Zaccardi

Niente panico: arrangiatevi che c'è l'inflazione. Si potrebbe riassumere così lo studio pubblicato da alcuni economisti della Banca centrale europea sugli effetti dei rialzi dei tassi di interesse sui debiti pubblici dei Paesi Ue. Una ricerca, dal titolo "Politica fiscale: da un pranzo gratis a uno abbordabile", che è quasi una risposta alle dichiarazioni del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che in un'intervista su Repubblica di qualche giorno fa aveva criticato la decisione di Francoforte di alzare i tassi nel contesto attuale, segnato dalla guerra in Ucraina e da una recessione alle porte. Il rischio, paventato dall'esponente di FdI, è che la strategia seguita possa innescare una crisi finanziaria ai danni dell'Italia. Ebbene, per Francoforte non c'è nessun problema: l'inflazione infatti gonfia la crescita del prodotto interno lordo e quindi riduce il rapporto debito-Pil.

Inoltre, scrivono gli economisti della Bce, «costi di finanziamento più alti si applicano solo al debito di nuova emissione», mentre la parte restante è protetta dagli aumenti. Insomma, nonostante i rialzi dei tassi abbiano reso più costoso per i governi reperire risorse sui mercati, i debiti dei Paesi dell'eurozona rimangono «sostenibili». Attenzione, però. Col passare del tempo, i nuovi (e più onerosi) titoli emessi vanno a sostituire quelli vecchi, con la conseguenza che il costo medio del debito aumenta. L'effetto benefico, in altre parole, è temporaneo. Non solo. La condizione più importante è che il Pil cresca più velocemente dei tassi di interesse pagati sul debito.

Un problema per i Paesi che hanno accumulato troppe passività nel corso degli anni e che, come l'Italia, il convitato di pietra dello studio, scontano anni di bassa crescita. «I tassi pagati dai governi sul nuovo debito» si legge nello ricerca, «dipendono anche dalla solidità della loro posizione fiscale. Indebitamenti più alti possono spingere al rialzo gli spread» verso «livelli ai quali le dinamiche di debito si deteriorano».
 

 

MAXI-RIALZI E PRUDENZA - Tradotto: meglio non fare deficit per calmierare le bollette e sostenere le imprese, altrimenti si rischia di non riuscire a rimborsare i prestiti. «Per i Paesi ad alto indebitamento», una crescita del 10% del rapporto debito-pil comporta «un aumento di 65 punti base» del rendimento dei titoli di Stato. Insomma, il monito è chiaro. Del resto, che a Francoforte fossero fissati con l'inflazione si sapeva. Quello che sorprende è che, come ha detto Crosetto, non si rendano conto «che alcune decisioni provocano effetti negativi perché amplificano la crisi». 

La situazione, infatti, consiglierebbe prudenza. I maxi rialzi dei tassi del 2022, in totale 250 punti base, stanno già facendo sentire i loro effetti. Il rendimento dei Btp ha toccato ieri il 4,31%, mentre secondo un'analisi di Facile.it, le rate dei mutui variabili sono aumentate del 36% in un anno. Nel frattempo, la stima preliminare Istat, uscita ieri, ha registrato per il 2022 un'inflazione media dell'8,1%, il dato più alto dal 1985. Il "carrello della spesa", un paniere che comprende beni alimentari, per la cura della casa e della persona, chiude l'anno a +12,6%.

 

 

Per le famiglie italiane, secondo il Codacons, il conto dei rincari è pari a 61,3 miliardi di euro. «Numeri da capogiro», commenta l'associazione dei consumatori, che si traducono in una «stangata» da 2369 euro per ogni nucleo. Ancora più pesante è la stima di Federconsumatori: se il dato preliminare Istat venisse confermato, l'onere per le famiglie sarebbe di 3.456,80 euro. Solo per gli alimentari, aumentati del 14,9% a dicembre su base annua, Coldiretti calcola una maggiore spesa di 13 miliardi di euro. Certo, a dicembre l'inflazione, soprattuto grazie al raffreddarsi delle tensioni sui prezzi dell'energia, ha rallentato la sua corsa, passando dal +11,8% di novembre a +11,6%. Ma è poca cosa. La decelerazione che ci aspetta l'anno prossimo sarà infatti contenuta.

NUMERI RECORD - I numeri record del 2022 lasciano infatti al 2023 un'eredità pesante: l'inflazione acquisita, ovvero quella che si avrebbe se i prezzi rimanessero stabili per i prossimi dodici mesi, è del 5,1%. Insomma, la febbre scende ma rimane alta, anche in confronto con gli altri Paesi europei. A dicembre, grazie ai generosi sussidi del governo, in Germania l'inflazione è diminuita dello 0,8% su novembre, attestandosi al +8,6% su base annua. Questo mentre in Francia i prezzi sono cresciuti solo del 5,9% in un anno e sono calati dello 0,1% rispetto a novembre. La speranza è che un deciso miglioramento degli indici a livello Ue possa far propendere la Bce verso una postura meno aggressiva. Ma da Francoforte, al momento, da quell'orecchio non sembrano sentirci.