Antichi vizi

Berlino cerca sempre l'egemonia: perché l'Europa può saltare davvero

Francesco Carella

Dopo la scelta della Germania di stanziare duecento miliardi di euro a sostegno di imprese e famiglie tedesche per tutelarle dall'alto costo dell'energia - abbandonando con il rifiuto del price cap gli altri Paesi dell'Ue a un futuro a tinte fosche- la domanda dalla quale non si può più sfuggire ( senza temere accuse di anti-europeismo) è la seguente: per quali ragioni l'unità politica dell'Unione continua ad essere un miraggio ? Conviene fare un passo indietro.

 

 

 

DIFFICOLTÀ

Dal Trattato di Roma del 1957 in poi l'azione dell'élite europea è sempre stata sorretta dalla convinzione secondo cui una progressiva intesa sul terreno delle relazioni commerciali avrebbe trascinato, in modo automatico, i Paesi membri verso una crescente omogeneizzazione sia di ordine economico che di carattere politico. Talché nel volgere di alcuni decenni si è giunti agli accordi di Maastrichct e di Amsterdam fino ad approdare all'introduzione dell'euro. Un giorno venne chiesto a Winston Churchill quali fossero, a suo giudizio, le qualità di un grande statista. Il leader britannico rispose senza indugi: «Sono tre. Studiare la storia, studiare la storia, studiare la storia». Ed è precisamente ciò che la classe politica europea non ha mai fatto in sessantacinque anni di attività, trascurando del tutto sia il ruolo storico dello Stato nazione- inteso come luogo e strumento di tutela degli interessi nazionali - che i lunghi percorsi che sono stati compiuti all'interno di esso per consolidare i sentimenti d'identità e di appartenenza dei suoi abitanti. Infatti, non si sono registrati particolari problemi di convivenza fino a quando il processo d'integrazione non ha messo a rischio il "senso di padronanza del proprio destino" che gli Stati nazionali - dal secolo XIX in avanti- avevano trasmesso ai loro cittadini. Le difficoltà nascono a partire dalla metà degli anni '80, quando viene impressa un'abnorme accelerazione all'intero progetto che culminerà con la scelta ( senza precedenti nella storia )d'introdurre una moneta unica in assenza di unità politica. Una decisione presa all'indomani della caduta del Muro di Berlino, quando l'allora presidente francese François Mitterand temendo che una Germania troppo grande potesse di nuovo rappresentare un pericolo per il Vecchio continente si adoperò perché si arrivasse a una veloce adozione dell'euro allo scopo di sterilizzare ogni tentazione di Berlino di esercitare una reale supremazia sull'intera Europa.

 

 

 

REALISMO POLITICO

A giudicare da quel che sta accadendo in questi giorni si è portati a pensare che quel pericolo egemonico non fosse un'idea balzana dell'ex numero uno dell'Eliseo. A tal proposito, vale la pena di ricordare che già nella Germania guglielmina circolava un documento ( come ricorda spesso lo storico Niall Ferguson nelle sue riflessioni sul futuro dell'Europa )in cui si prefigurava la costituzione "di un'autorità politica comune fra alcuni Paesi europei con il preciso obiettivo di stabilizzare il predominio economico della Germania sulla Mitteleuropa". Forse, è arrivato il momento anche per il nostro Paese, dopo la recente rottura di Olaf Scholz, di aprire una stagione all'insegna di un sano realismo politico nei rapporti con l'Unione. Occorre non dimenticare, come purtroppo è accaduto fin qui ad opera soprattutto di una sinistra culturalmente estranea ai valori nazionali, che essere europeisti non significa trascurare il compito principale di uno Stato sovrano che è quello di adoperarsi per tutelare in primo luogo gli interessi del proprio Paese.