la relazione

Viktor Orban, l'Ue stacca la spina all'Ungheria: il ricatto pseudo-democratico

Renato Farina

Eravamo abituati ai ricatti di Putin sul gas, tipica prassi degli autocrati orientali, opportunamente denunciata come infame dagli amanti della democrazia e del metano a gogo. Diciamo che lo Zar deve aver fatto scuola nella sede del nemico, il Parlamento europeo, strenuo difensore della libertà dei popoli. Di tutti i popoli, tranne uno: quello ungherese. Siccome la citata popolazione ha avuto il torto di votare nell'aprile scorso Fidesz, che non è il marito della Ferragni ma il partito di Viktor Orbán, una vasta maggioranza di eurodeputati ha chiesto formalmente a Ursula von der Leyen e ai suoi commissari, di affamare questa gentaglia riottosa al pensiero unico su famiglia, aborto, immigrazione. Aut aut. Ultimatum. Anzi, chiamiamolo con il suo nome: ricatto pseudo-democratico.

 

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COME GENGIS KHAN
In nome del politicamente corretto la risoluzione passata con 433 voti favorevoli, 123 contrari e 28 astensioni: 1) deplora il Consiglio europeo (fatto dai 27 tra premier e presidenti) per non non aver messo al bando Budapest come traditrice dei valori europei; 2) invita il governo della Unione Europea ad applicare contro Budapest la regola tipica di Gengis Khan quando attraversava la steppa con la sua orda e si imbatteva in una inopinata resistenza: o ti arrendi alla nostra idea di civiltà ovviamente superiore, oppure ciao, ti mettiamo a ferro e fuoco. Il modo postmoderno di minacciare i renitenti è meno brutalmente tonitruante, ma ha la stessa potenza devastante, utile ad annientare l'oppositore. Una rivisitazione dell'antico assedio, attuato tagliando i viveri. Si permetterà l'arrivo di qualche risorsa a questo popolo strano purché accetti di assoggettarsi alle direttive mainstream maturate negli ambienti radical chic newyorchesi e nella sinistra au caviar parigina.

 

 


Insomma: zero fondi del New Generation Eu, quelli che poi si traducono nei vari Paesi nel finanziamento dei rispettivi Pnrr. Tutto questo hanno messo in luce gli interventi degli eurodeputati conservatori e identitari (di cui sono membri Fratelli d'Italia e Lega) - è in nome dello stato di diritto una violazione dello stato di diritto. Distorcendo la norma vincolante approvata dal Consiglio europeo, con il voto dell'Ungheria, che si possono chiudere i rubinetti degli euro solo se i progetti tradiscono le linee guida che privilegiano gli investimenti green ed ecocompatibili. La forzatura spaventosa, cui purtroppo ha aderito anche il Ppe, consiste nel giudicare violazioni che blocchino gli aiuti ad esempio la costruzione di una clinica in quanto in Ungheria si pongono limitazioni all'aborto, ritenuto diritto fondamentale dall'Ue, o la digitalizzazione dei Tribunali essendo considerati troppo acquiescenti al potere politico.
Pazzesco che la sinistra e il Ppe abbiano accettato questo discorso, quando semmai bisognerebbe proporre una risoluzione che blocchi il Pnrr quando la politica - come in Italia - è assoggettata alla magistratura...


LE "COLPE" DI BUDAPEST
Qual è la colpa imperdonabile degli ungheresi? Aver dato la maggioranza assoluta (53,3%) appunto a Fidesz, cioè a una formazione che sostiene "la Rivoluzione conservatrice". Essa garba molto ai magiari, ma non agli eurodeputati. I quali perciò negano al Paese attraversato dal Danubio la qualifica di "democrazia", e la definiscono "autocrazia elettiva".
Degenerazioni da cancel culture. In questo caso la concezione cristiana della società. È questa la valutazione data da Judit Varga, la giovane ed energica ministra della Giustizia, vera star del governo, che vede nelle critiche dell'Ue rivolte allo Stato di diritto in Ungheria un pretesto, convinta che il bersaglio, in realtà, sia la legislazione ungherese sulla famiglia e sulla inviolabilità dei confini, e più in generale il modello di società voluto dai cittadini. «Lo stato di diritto viene inteso come il modo per imporre una politica progressista». Hanno o no gli elettori la libertà e la responsabilità di decidere la politica familiare o quella dell'immigrazione nel proprio Paese? Varga dice di sì. «Ecco perché», spiega, «il governo ungherese ha deciso di sottoporre a referendum la sua legge sulla protezione dell'infanzia (niente adozioni per coppie omosessuali, ecc.) per dimostrare all'Europa che è una decisione del popolo sovrano e che non ha il diritto di interferire. Lo stesso abbiamo fatto qualche anno fa sulla questione dell'immigrazione». Guarda caso, questa risoluzione è stata votata il 15 settembre, il medesimo giorno in cui è entrato in vigore un nuovo emendamento sul diritto all'aborto. L'emendamento obbliga le donne che desiderano abortire ad ascoltare il battito cardiaco del feto prima dell'operazione. «L'Ungheria non può più essere considerata una democrazia», ha sancito perciò il Parlamento europeo. Il commento che circola a Bruxelles ed è riportato su Figaro-Madame è: «Il decreto mostra l'irrigidimento del Paese nei confronti di questo diritto fondamentale».