I tempi che corrono
Alle Ue piace la Madonna con la barba: euroblasfemia, perché siamo costretti a subire?
Madonna barbuta mai piaciuta. E infatti la crisi di rigetto è stata inevitabile, perfino di là dalle questioni confessionali, di fronte all'ultima provocazione di Riccardo Simonetti (Libero ne ha dato conto ieri) che si è immortalato sui social nelle vesti di Maria di Nazareth, con un Gesù bambino tra le braccia e accanto a sé un San Giuseppe non proprio europoide. Lo scatto appartiene in realtà alla rivista queer "Siegessäule Magazin", per la quale ha felicemente posato il Simonetti, influencer da oltre 300mila follower, attore e presentatore nonché collaboratore dell'Europarlamento (se pur gratis) sui diritti Lgbt. Notevole, a proposito, l'incipit della lunga didascalia con cui la nuova Madonna transgender ha voluto corredare la sua trovata: «Se ignoriamo il fatto che Gesù non era bianco, potremmo anche credere che la Vergine Maria avesse la barba, perché no?».
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IL PD MUTO
Due tabù in un colpo solo, dunque: la lotta di genere e il senso di colpa etnocentrico. Va da sé che la trovata, subito premiata da vasta eco internazionale, sia stata stigmatizzata dal fronte sovranista e conservatore. Il segretario leghista Matteo Salvini ha tuittato una rasoiata delle sue: «Ma possibile che certa gente non riesca a rispettare nemmeno la Vergine Maria e il Santo Natale? Non è una simpatica provocazione, è un vergognoso insulto». Sferzante anche la leader dei Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni - «La Vergine Maria rappresentata come un trans. È così che un 'ambasciatore speciale Ue per i diritti Lgbt' pensa di costruire un'Europa più inclusiva? Non è sbeffeggiando la religione, offendendo i fedeli o cancellando il Natale che si tutelano diritti civili. Che triste teatrino» - così come il suo omologo conservatore spagnolo di Vox, Santiago Abascal, che ha chiesto le dimissioni di Simonetti dal suo incarico.
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Ma in tutto ciò, le istituzioni europee che cosa dicono? Mute e imbarazzate, almeno fino a ieri sera, hanno tuttavia lasciato filtrare da Strasburgo che Simonetti «non è un ambasciatore dell'Ue presso la comunità Lgbt perché una carica simile semplicemente non esiste»; e tuttavia la sua strada sembrerebbe quella giusta: «La collaborazione con gli influencer, incluso Simonetti, fa parte della strategia di comunicazione del Parlamento europeo per raggiungere un pubblico che include, ma non solo, i giovani» e per rappresentare, grazie a figure come Simonetti, «la sua comunità sulle posizioni approvate in plenaria dal Parlamento europeo riguardo ai diritti delle persone Lgbtiq+». Morale: una contorta smentita che conferma l'assunto di fondo senza però il coraggio di canonizzarlo nel profilo di un ruolo ufficiale. Sostenere che "non c'è uno statuto di goodwill ambassador del Parlamento europeo" e che in ogni caso Simonetti "non è remunerato in alcun modo da noi", ma al tempo stesso rivendicare con orgoglio il suo ruolo indistinto al di là dei post personali, significa convalidare l'impressione che l'Unione europea sia finita nelle mani sbagliate.
LA SFERZATA DEL PAPA
Tutto ciò, del resto, accade a poche ore dal monito tranciante di Papa Francesco secondo il quale l'Ue rappresenta un «pericolo per la democrazia» poiché «sacrifica i valori nazionali all'impero»; chiaro riferimento alle azzardate (e presto rimangiate) linee guida europee ai propri dipendenti in cui s' invitava a preferire la formula "Buone Feste" a "Buon Natale". In realtà Bergoglio, quanto a bersagli polemici, continua a prediligere i soliti "populisti" ma stavolta ha dato voce (e corda) anche a un certo populismo sudamericano e anti mondialista. Nel caos generale, impreziosito dal silenzio di una sinistra liberal poco consapevole del confine tra necessario e ridicolo, c'è poco da lamentarsi se poi cresce il senso di spaesamento e fermenta una disaffezione rancorosa verso le istituzioni continentali. L'Ue percepita è senz' altro peggio di quella reale, ma ormai è vista da un pezzo consistenze dei cittadini come un concilio di sfaccendati inquilini del privilegio (vedi alla voce retribuzioni) e viene sospettata d'ingerenze non sempre neutrali nel discorso pubblico dei singoli Stati. Se poi l'urgenza diventa la scrittura di una neolingua culturale arcobaleno e i beniamini continentali coincidono con le caricature non soltanto della natività in quanto tale, ma di tutte le natività immaginabili, il tema smette di essere la battaglia per l'inclusione e diventa un bestemmiarsi addosso gradito soltanto agli estremisti d'ogni ordine e grado.