Campane a festa
Natale salvo, sinistra triste: l'Unione europea ci ripensa, che amarezza per i compagni
Suonino le campane, si muovano gli zampognari. Va bé, non si usa più. Ma se non ora, quando? Il governo dell'Europa si è ritirato disordinatamente, magari nel castello di Erode dei nostri vecchi presepi. Si è arreso, alza le mani. Aveva ingaggiato la battaglia contro il Natale e contro i nomi di Maria e Giovanni perché troppo evocatori di Vangelo. Un po' come Ataturk aveva reinventato la lingua turca negli anni 30, omogeneizzando con la neo -lingua i neo -cervelli dei popoli dell'ex impero ottomano, così la commissaria europea alla Parità, Helena Dalli, aveva emesso con la dovuta solennità delle rivoluzioni epocali le "linee guida sulla comunicazione inclusiva". Era convinta di piantare le sue bandiere con serena facilità. Ha fatto male i suoi conti. Da ogni parte - più nell'opinione pubblica laica che in quella della ormai cedevole minoranza di credenti - si è alzato un no corale. Si trattava di un diktat con cui si vietava nelle comunicazioni dell'Unione Europea, perché facesse scuola ovunque, di citare l'evento di Betlemme e i suoi protagonisti su cui si è retta la nostra civiltà per duemila anni.
La commissaria esigeva di sostituire il Natale con un generico riferimento alle Feste, e di sostituire Maria e Giovanni (ma forse intendevano Giuseppe) con la coppia internazionale Malika e Julio (sul serio!). La ministra Dalli ha preso atto della disfatta. «La mia iniziativa aveva lo scopo di raggiungere un obiettivo importante: illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione europea verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini europei». Ahi ahi, è costretta a costatare: «Non è un documento maturo. Lo ritiro. Lavorerò ulteriormente su questo documento». Insomma, ci riproverà. Li conosciamo. Intanto però l'Europa per la prima volta in questo millennio deve posare a terra le insegne del progressismo post -cristiano, e deve rinunciare a imporre la rinuncia della propria identità simbolica alle nazioni. La marcia che pareva irresistibile dei devastatori della memoria ha subito così un altolà. Le truppe del politicamente corretto sono state costrette a una precipitosa ritirata, con tanto di pive nel sacco. La vicenda è densa di insegnamenti. Vuol dire che rassegnarsi è sbagliato, e opporsi a chi vuol finire il lavoro di estirpare le radici cristiane persino dal linguaggio. è vincente. La prossima mossa sarebbe stata quella di smetterla di contare gli anni a partire dal Natale, visto che si voleva vietarne il ricordo. Come è potuto accadere questo stop? Non è un fatto isolato. In Italia, per nostro piccolo, c'è stato un segnale analogo con l'affossamento del ddl Zan: rispettare le differenze, condannare le discriminazioni non deve e non può coincidere con il cedimento all'ideologia del gender e obbligo di professarla. Allo stesso modo rispettare i diversi credo religiosi e le varie tradizioni, non può voler dire vergognarsi della propria anima. Qualche volta la storia inaspettatamente si avvita su sé stessa.
Chi pretendeva di dirigerne il corso come fossero le rapide del Nilo Bianco inciampa nella strana capacità dei popoli di fiutare i totalitarismi , e quello linguistico ne è una specie subdola, e di reagire. Il nome delle cose e la scelta di quelle importanti appartiene alla libertà di essere sé stessi. Forse il politicamente corretto ha raggiunto il suo culmine. Poi si scende. E chi credeva di guidare il destino della gente galoppando sul cavallo bianco verso un mondo dove tutto è banalmente uguale, una sorta di nulla dove tutti anneghiamo nel caramello, senza bandiere, senza differenze sessuali, senza latino, senza Gesù Cristo, bé, è andato a sbattere contro il tram. Così Helena Dalli fa il verso a quel «contrordine compagni» inventato da Giovannino Guareschi onde descrivere le istruttive vicende dei trinariciuti. Ricordate? La vittoria del comunismo pareva una cuccagna da acchiappare al volo. Il Colosso è crollato sui suoi piedi di argilla (anche se non in Italia, dove camaleonticamente ha cambiato pelle ma non palle). Ora la partita si gioca su un altro fronte. Non c'è il Muro di Berlino, ma un muro linguistico in cui rinchiudere i popoli, a cui si gettano come nutrimento cacchette di parole dolci e suadenti, dotate del sacro sigillo della parità di genere e della fluidità delle fedi. Linguaggi che promettono pace, e invece sono lapidi di cimiteri senza luna. Ecco, quanto accaduto ieri ci dice che forse non finirà così. Ai guardiani del lager si è inceppato il fucile.