Dc
L'Europa? "Sarà uno strumento di oppressione": quella vecchia profezia di Alcide De Gasperi
Era un duro, con la tenacia dei montanari trentini evocata anche dal suo nome Alcide, legato ad Ercole, nipote di Alceo. Ed era un puro, con la sua inscalfibile fede cattolica da lui considerata «regola fissa, anima e midollo di tutte le cose». Ma De Gasperi, o meglio Degasperi qual era il suo cognome all'anagrafe, è stato soprattutto un uomo solo e un uomo contro. Con la grandezza di un perdente di successo. È il profilo affascinante del leader democristiano che emerge dal bel libro di Francesco Agnoli, Alcide Degasperi. Vita e pensiero di un antifascista che sconfisse le sinistre (Cantagalli, pp.168, euro 15).
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Il politico trentino fu un uomo solo, come lo definì la figlia Maria Romana, sia perché si ritrovò a fronteggiare, spesso in una posizione di solitudine, le principali ideologie del Novecento, prima il fascismo e poi il comunismo, sia perché fu spesso isolato nello stesso partito di cui era leader. E fu un uomo contro perché passò 30 anni della sua vita all'opposizione, come segno di contraddizione rispetto al potere e alla vulgata dominante, riuscendo nondimeno a mantenere salde tutte le sue convinzioni: fu anti-materialista al tempo in cui imperversavano, positivismo, socialismo e la promessa atea del sol dell'avvenire; fu strenuo difensore della Chiesa cattolica, mentre dilagava l'anticlericalismo sia in politica che sui giornali, dove il Mussolini del primo '900, da feroce mangiapreti, lo accusava di essere l'araldo delle «clericali cloache», il primo dei «criminali del Vaticano trentino», l'escrescenza visibile dei «centomila metri cubi di letame cattolico»; e ancora, fu visceralmente patriottico, lui italiano nato nell'Impero asburgico, ma mai nazionalista, e pertanto accusato di essere un pericoloso italianofilo dai pangermanisti austriaci e un austriacante dagli irredentisti italici; fu poi pacifista nel momento in cui si affermava il verbo interventista alla vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e antifascista al tempo del fascismo trionfante.
Ma anche dopo, al termine del conflitto, colse il pericolo di un certo modo di essere antifascisti a fascismo morto, perché in quell'antifascismo di sinistra si celava una mentalità a sua volta prettamente «fascista». E allora ecco Degasperi mettere in guardia dalla mentalità «proletario-comunista», dalla «passione rivoluzionaria dei comitati di salute pubblica», dall'«ambizione giacobina di improvvisare riforme», e perciò temere il comunismo che «si fonda come il razzismo su una concezione anticristiana e materialistica del mondo». Fu proprio questa convinzione su un'incompatibilità politica, ideale e quasi antropologica dei cattolici con i comunisti a indurlo a rompere il governo tripartito con le sinistre (socialisti e comunisti) nel 1947 e poi a sfidarle a viso aperto nella drammatica campagna elettorale del 1948 in cui di fatto si giocò il destino dell'Italia, al bivio tra l'adesione al Patto Atlantico e la sottomissione a una nuova dittatura, quella sovietica. Degasperi giocò con coraggio quella partita e la stravinse. E tuttavia, nonostante il suo ruolo di salvatore della libertà e dell'indipendenza dell'Italia e della sua democrazia dal rischio di un'egemonia rossa e straniera, Degasperi è stato alungo descritto come il fautore di un'apertura della Dc alla sinistra, quasi un antesignano del compromesso tra cattolicesimo e comunismo. Il tutto nasce da una sua affermazione, più o meno volutamente fraintesa, per cui la Dc sarebbe stata «un partito di centro che marcia verso sinistra».
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Ma, come ricorda Agnoli, Degasperi alludeva solo all'attenzione democristiana alla giustizia sociale, non certo a un'alleanza politica con i comunisti. Questo equivoco viene fugato da molte altre dichiarazioni in cui lo statista trentino prendeva le distanze da ogni ipotesi di accordo con la sinistra odi accomodamento su questioni ideologiche. Degasperi lanciava l'allarme sulla «cancrena comunista che si introduce in ogni settore del Parlamento», sui «comunisti che si dicono democratici solo perché abusano delle libertà democratiche e parlamentari» ma sono dei «fascisti rossi», e sentenziava in modo netto: «Il pericolo della dittatura comunista è più grave di quella che fu la dittatura fascista, perché la dittatura fascista, sia stata o no crudele, si capiva bene che non poteva durare, mentre con una rivoluzione comunista non c'è più speranza di libertà».
E, del resto, Degasperi venne avversato anche dalla sinistra interna al suo partito, dalla corrente dei «professorini» facenti capo a Fanfani, Dossetti, Moro, quelli che Giovannino Guareschi definiva «comunisti di sagrestia». In particolarei fanfaniani erano i fautori di una collaborazione e di una (con)fusione tra cattolicesimo sociale e social-comunismo, e i paladini della necessità di svecchiare il partito, rottamando i padri fondatori, da Degasperi a Sturzo, nonché coloro che verosimilmente determinarono la fine politica dello statista trentino, azzoppandolo prima delle elezioni del 1953, con i sospetti legati allo scandalo dell'omicidio Montesi («a fornire notizie false e a soffiare sul fuoco ci fu, molto probabilmente, Fanfani», avverte Agnoli). Degasperi fu contrastato e infine detronizzato proprio perché non marciava verso la sinistra politica. Un altro equivoco da dissipare in AGM:1U merito alla sua figura è l'idea che l'Europa centralistica, burocratica e tecno-finanziaria di oggi sia figlia delle intenzioni originarie di Degasperi.
Al contrario, il leader Dc sognava, insieme agli altri due fondatori Konrad Adenauer e Robert Schuman, un'Europa come unità «spirituale» fondata sulla fratellanza cristiana e come «consorzio di nazioni libere» in cui potesse esserci cooperazione non annullandole differenze ma «preservando l'autonomia di ogni nazione». Una via di mezzo, insomma, tra Sacro Romano Impero di Carlo Magno e Svizzera federale. E quanto più di lontano dal Super-Stato accentratore di Bruxelles, dimentico delle proprie radici culturali-religiose. Ma Degasperi, grazie alla sua lungimiranza, era anche consapevole di ciò che sarebbe potuta diventare l'Europa, se non avesse seguito la strada da lui indicata. Esattamente 70 anni fa, nel dicembre 1951, il politico Dc pronunciava queste parole che oggi suonano profetiche: l'Europa «potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e fors' anche oppressiva. In questo caso le nuove generazioni, prese dalla spinta più ardente del loro sangue e della loro terra, guarderebbero alla costruzione europea come ad uno strumento d'imbarazzo e di oppressione». Inutile dire che quella profezia e quel tradimento della visione degasperiana si sono drammaticamente avverati.