Alla frutta
Viktor Orban, l'eurodeputato che guida la battaglia contro l'Ungheria condannato per reati sessuali: altra vergogna europea
Bordate tra Bruxelles e Budapest. Ieri Ursula von der Leyen ha gettato la maschera e dato l'aut aut al premier Viktor Orbán: «La nuova legge ungherese contraddice profondamente i valori fondamentali dell'Unione Europea e utilizzerò tutti gli strumenti a disposizione della Commissione per difenderli». Il presidente della Commissione, durante la seduta plenaria a Strasburgo, non ha potuto dirlo apertamente - è chiaro - ma «gli strumenti a disposizione» sono i 7,2 miliardi che l'Ue dovrebbe corrispondere all'Ungheria tramite il Recovery Fund e che fino a quando Orbán non modificherà la legge che vieta in particolare di trattare tematiche Lgbt nelle scuole non verranno corrisposti. Le presunte carenze da parte del governo magiaro sulle procedure di controllo legate all'antifrode, questa la scusa finora addotta dall'Ue, non c'entrano niente. Von der Leyen è andata giù pesante: «Questa legge è vergognosa, l'omosessualità e la transessualità vengono messe sullo stesso livello della pornografia.
Non è una legge che serve alla protezione dei bambini: i bambini vengono usati per discriminare l'orientamento sessuale delle persone». Budapest ha risposto con altrettanta durezza: «Che vergogna!», ha twittato il portavoce di Orbán, Zoltan Kovacs, «il cosiddetto dibattito al parlamento europeo sulla protezione dell'infanzia in Ungheria è stato una parata da circo, siamo a un nuovo imperialismo coloniale e morale, un attacco al nostro Paese e all'Orbanofobia». Poco dopo: «Bruxelles non può dirci come crescere i nostri figli. Se l'Ue vuole gli attivisti Lgbt nelle scuole noi resisteremo. Il dibattito di oggi è stato scadente». E ancora, il portavoce di Orbán: «Bruxelles non ha respinto il nostro piano di ripresa (ha tempo fino a lunedì per decidere, ndr) e non può usare la politica chiedendo modifiche alla nostra legge per togliere ciò per cui gli ungheresi hanno lavorato duramente».
LA SENTENZA
Il ministro della Giustizia ungherese, Judit Varga, ha esploso un colpo micidiale: «Quanto è credibile il relatore del parlamento europeo (il riferimento è a un eurodeputato maltese, Cyrus Engerer, ndr) che contesta la legge sulla protezione dell'infanzia dopo essere stato condannato per un crimine sessuale? La sentenza parla anche di ricatto del compagno e di furto di dati pornografici». Il famigerato revenge porn. Ma tant' è: l'Ue è sul punto di aprire una procedura d'infrazione contro Budapest: «I commissari Reynders e Breton», ha comunicato Von der Leyen, «hanno scritto alle autorità ungheresi per esprimergli le nostre preoccupazioni giuridiche. Se non aggiusteranno il tiro la commissione userà i propri poteri in qualità di garante dei diritti dei trattati. Da inizio mandato», ha aggiunto il presidente della Commissione Ue, «abbiamo aperto circa 40 procedure d'infrazione e se necessario ne apriremo altre: non possiamo rimanere a guardare quando ci sono zone che vengono dichiarate lgbt free». Nel mirino di Bruxelles c'è anche la Polonia dove oltre 100 municipalità da giugno 2020 si sono dichiarate contrarie alla diffusione delle teorie gender tra i minorenni.
Tempo un mese e l'Ue gli ha negato i finanziamenti dei fondi strutturali. Ma Bruxelles ieri si è concentrata soprattutto sull'Ungheria, anche se l'intervento della vice della Von der Leyen, Bera Jourova, ha tirato in mezzo pure la Russia: «La legge ungherese etichetta una parte di cittadini, li indica come nemici pubblici, addirittura come pedofili. Non è espresso chiaramente nella legge, ma solleva questa immagine. È esattamente il manuale Putin». Jourova ha confermato che o l'Ungheria rinuncia alla sovranità del proprio parlamento (che ha approvato la legge con una maggioranza schiacciante) o perde i soldi per la ripresa post-Covid: «Non ci sono informazioni che bloccheremo i fondi del Recovery per quei Paesi che non rispettano i valori Ue. Voglio ricordare»- attenzione- «che la decisione sull'approvazione dei fondi è presa dal Consiglio a maggioranza qualificata. La Commissione potrebbe anche bloccare i fondi, ma finora non è mai successo». Peccato che i Paesi Ue ad aver firmato la dichiarazione contro la legge ungherese siano già 17 (tra cui l'Italia) su 27 e che dunque la ripresa economica dell'Ungheria dipenda da chi l'ha già condannata. Esattamente dalla maggioranza qualificata.