Israele, elezioni-pasticcio

Marco Gorra

 Di sicuro c'è solo che Kadima, il partito moderato del premier uscente Olmert, ha un seggio di vantaggio. Il resto, impossibile dirlo. Le elezioni in Israele si sono concluse con un sostanziale stallo: dei 120 seggi del Parlamento, Kadima ne ottiene 28, mentre 27 vanno al Likud. Il partito laico di estrema destra Israel Beitenu ottiene 14 seggi, scavalcando così i laburisti che con 13 deputati ottengono uno dei peggiori risultati della loro storia. Chi andrà al governo, difficile preventivarlo. In pole position sembra esserci il partito di centrodestra Likud, cui l'estrema destra e i gruppuscoli ultra-ortodossi si è già affrettata a garantire a Benyamin Netanyahu i voti necessari alla formaione dell'esecutivo. Ad oggi, il blocco conservatore potrebbe contare su 64 voti in Parlamento. Margine tuttavia assai esile e, data la eterogeneità dello schieramento, a forte rischio di ingovernabilità. E allora spunta la tentazione del governissimo: Tzipi Livni (che esce dal voto come la autentica vincitrice, avendo recuperato uno svantaggio che alla vigilia pareva incolmabile) ieri sera ha gridato vittoria, ma difficilmente potrò imporsi come premier non potendo contare né sui voti degli arabi, né su quelli dell'estrema destra, che pare restia a rescindee l'intesa di massima con il Likud. Chiunque governi, dunque dovrà fare i conti con una coalizione piena di mini-partiti litigiosi e incontrollabili? Non per forza. A urne appena chiuse, infatti, Netanyahu ha fatto sapere di essere disponibile ad allargare il governo ad altre forze politiche in primo luogo Kadima. L'uovo di Colombo?