Thailandia: i ribelli islamici

Albina Perri

I ribelli islamici tornano a colpire in Thailandia. Ieri sera il preside di una scuola è stato ucciso e questa mattina 55 scuole della provincia di Yala sono rimaste chiuse in segno di protesta. Quella di Yala è una parte del Paese asiatico con un’alta maggioranza di popolazione musulmana e indipendentista e le scuole statali da tempo sono l’obiettivo dei guerriglieri, attivi anche nelle province limitrofe di Narathiwat e Pattani. Colpire le scuole per colpire il governo centrale di Bangkok. Facendo riferimento a stime non ufficiali, il preside ucciso ieri è la 92esima vittima tra il corpo docente a partire dal gennaio 2004, quando è iniziata l’ultima fase della rivolta. Nel mirino non solo docenti e presidi, ma anche il personale di sicurezza incaricato di proteggere le scuole, mentre il totale delle vittime degli attacchi che quotidianamente colpiscono la regione ammonta a quota 3.000. 75 istituti sono stati dati alle fiamme, molte altre hanno subito danni minori. Secondo gli analisti, fonte delle rivolte sono le scuole islamiche, dove il sistema educativo è formato dalle “tadikas”, una sorta di asili legati alle moschee, e dalle “pondok”, vere e proprie scuole islamiche tradizionali. Un mondo culturale ben distante da quello thai e buddista del resto del Paese. Con l’intensificarsi del conflitto, alcune “pondok” si sono trasformate in centri di propaganda e di reclutamento per i terroristi islamici.