
Donald Trump sconvolge l'istruzione scolastica: ecco cosa smantella (e cosa cambia)

Ieri, nel pomeriggio di Washington, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato a mettere la parola «fine» al ministero dell’Istruzione. La fine avverrà gradualmente attraverso una dieta ferrea per dimagrirne le strutture e, ha spiegato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, trasferendone gran parte delle competenze ai singoli Stati, più di quelle che già hanno. Il punto nodale sta infatti qui. Trump ha agito attraverso un ordine esecutivo, preparato sin dal giorno del suo insediamento, che dà mandato al ministro dell’Istruzione, Linda McMahon, di adottare le misure necessarie per lo smantellamento, ma il cuore del provvedimento è il seguito: per «restituire l’autorità in materia di Istruzione ai singoli Stati» dell’Unione. Perché la decisione di Trump non è una follia, bensì un’azione coerente con un pensiero lucido.
Gli Stati Uniti sono una federazione che demanda solo alcune, possibilmente poche, prerogative allo Stato centrale. Il resto è appannaggio degli Stati che compongono l’Unione, come da Costituzione, i quali sono i veri contraenti il patto politico su cui si regge il Paese. Di questa struttura gli americani sono gelosi; o, meglio, lo sono i conservatori. I progressisti invece fanno, direttamente e non, di tutto per smantellarla e intestare ogni cosa a uno Stato centrale sempre più padre e padrone, esonerando Stati, contee, municipalità, comunità, gruppi umani, libere associazioni, famiglie e individui. Appunto nel campo dell’istruzione, per esempio.
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Perché il ministero dell’Istruzione statunitense così come lo si conosce ora, elefantiaco, spesso inutile, sovente fucina di ideologie, mentalità woke e politicamente corretto, è una creazione recentissima: nacque nel 1979 per volontà del presidente Democratico Jimmy Carter. Oggi è un mostro dall’appetito esagerato di denari ma soprattutto di cuori e menti.
Negli Stati Uniti, del resto, l’educazione centralizzata non è mai stata un dogma: è anzi esistita poco. L’istruzione l’ha garantita piuttosto il pubblico non statale, cioè una realtà che ha dato il meglio di sé senza bisogno dello Stato centrale e che ha servito la comunità per intero grazie a donatori privati, magnati illuminati e finanziatori facoltosi. L’istruzione è stata insomma possibile tranquillamente, e persino migliore, quando il primato era delle comunità delle famiglie locali o delle organizzazioni religiose, delle contee o degli Stati abitati da culture e popolazioni identitarie. In questo modo, l’istruzione scolastica ha potuto anche procedere parallela all’educazione impartita dalle famiglie e non sovvertirla in nome di una qualche “religione civile”.
Pochi ricordano che, dalle scuole per gli indiani fondate dai missionari fino alle Università Yale e Harvard, tutto è iniziativa privata, e per di più religiosa. L’una fu fondata nel 1701 a New Haven, Connecticut, dal governatore della Compagnia delle Indie orientali Elihu Yale, l’altra a Cambridge, Massachusetts, nel 1636, dal chierico puritano John Harvard. L’abolizione di un ministero-carrozzone che snatura lo spirito americano e soprattutto male educa i giovani è dunque un vecchio cavallo di battaglia della Destra. Fa anche parte del «Project 2025» della Heritage Foundation, che non è una “trama nera” ma un programma alla luce del Sole di Internet, ultimo nato di una serie di utensili politici messi a disposizione in chiaro dal 1981. Però la chiusura effettiva del ministero dell’Istruzione può avvenire solo con un voto del Congresso e un minimo di 60 voti in Senato, dove oggi i Repubblicani ne hanno 53. Non sarà facile.
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