Narrazione farlocca
Trump, dopo Gedda cosa dice l'esercito anti-Donald?
Avviso ai naviganti (e pure ai navigati): sul dossier russo-ucraino è doveroso rimanere prudenti. La faccenda mantiene la complessità di una partita a scacchi e il livello di rischio di una partita di poker: ogni esito è possibile, ogni colpo di scena resta immaginabile, nessun imprevisto può essere escluso.
In casi maledettamente complicati come questo, è altamente sconsigliato abbandonarsi a pronostici, snocciolare previsioni, fare professioni di ottimismo o di pessimismo. È molto più sensato elaborare diversi scenari (dal più positivo al più negativo) e predisporre una strategia di adattamento e reazione (nel mondo anglosassone si parla di coping strategy) a ciascuno di essi. E in più – questo aiuta sempre – vale la pena di studiare la personalità dei protagonisti, le loro attitudini umane: è da quelle caratteristiche incancellabili che occorre partire per immaginare il comportamento di ognuno di loro, le reazioni nei momenti topici, la propensione dell’uno a negoziare (e quindi a centrare un risultato), di un altro a rilanciare, di un altro ancora a imporsi con la prepotenza, e così via.
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Allo stesso modo, occorre tenere ben presente il ruolo di chi – pur non essendo direttamente parte in causa – guarda, influisce da fuori, fa sentire il peso della propria opinione ai protagonisti: senza girarci troppo intorno, stiamo parlando di Pechino.
Ciò detto, c’è un dato di fatto incontestabile: a Gedda, in Arabia Saudita, la delegazione americana guidata dal Segretario di Stato Marco Rubio, in contatto diretto e costante con Donald Trump, ha centrato un risultato parziale rilevantissimo, inducendo l’Ucraina a compiere i due passi che – nell’ormai famoso scontro nella Sala Ovale – Zelensky aveva nettamente rifiutato: dare l’ok all’intesa sulle terre rare (comprendendo che, per questa via, gli Usa saranno impegnati a garantire la sicurezza del territorio ucraino: altro che depredarlo!), e accettare un cessate il fuoco senza pretendere di avere preventivamente certezze sull’ombrello difensivo di cui Kiev potrà godere quando la conclusione del conflitto sarà definitiva.
Da parte degli ucraini, si tratta – insieme – di un atto di realismo e di notevolissima buona volontà. Di più: siamo in presenza di un evidente attestato di fiducia nei confronti della mediazione americana. E a questo buon comportamento di Kiev (che ha corretto l’errore diplomatico e strategico commesso da Zelensky a Washington) gli Usa hanno corrisposto con altrettanta generosità e lungimiranza: Trump ha immediatamente rinnovato l’invito alla Casa Bianca per il presidente ucraino, e Rubio ha lasciato a verbale dichiarazioni molto esplicite e coraggiose, segnalando come ora la palla sia passata nel campo di Mosca, e che, se da lì verrà un rifiuto, sarà chiaro il responsabile dell’impedimento alla pace.
Diciamolo a chiare lettere: le due delegazioni – quella ucraina e quella americana – si sono comportate benissimo, e altrettanto ha fatto Trump da Washington. E allora – viene naturale chiedersi – come la mettiamo con la narrazione farlocca che ha imperversato sui nostri media nelle ultime due settimane?
Ricordiamone i tratti salienti: Trump è stato presentato come il pupazzo di Putin, come l’uomo che umiliava Zelensky, scaricava l’Ucraina, e mollava i soldati di Kiev sotto il fuoco dell’artiglieria russa. Vance è stato descritto come un gangster, Musk come un ricattatore, Rubio come un debole schiacciato dai pesi massimi dell’Amministrazione. E avanti con le caricature, i pregiudizi, le demonizzazioni che avete letto e visto a giornali e tv (quasi) unificati.
Ora nessuno – qui – sostiene che Trump sia il nuovo Ronald Reagan, o ritiene il suo linguaggio il migliore possibile. Come Libero ha sempre scritto, Trump è e resta unpredictable, letteralmente imprevedibile: avremo da lui sorprese positive tanto quanto – aspettiamoci anche quelle – pure sorprese negative. Ma questo giornale ha tenuto la testa fredda, non l’ha mai portata all’ammasso, non ha partecipato a una lapidazione di Trump stupida e violenta.
Da chi – invece – non avremo mai sorprese? Dall’Editorialista Unico, dal Commentatore Collettivo, da un milieu di “esperti” abituati al loro piccolo mondo antico, ai loro schemini, ai loro minuetti. Tutti riti che Trump adora far saltare.
Ecco: costoro dovrebbero avere l’umiltà e la fantasia di liberarsi – almeno temporaneamente – dai loro pregiudizi, e dovrebbero disporsi a esaminare giorno per giorno i fatti con animo più sereno. Non vogliono farlo per amor proprio? Lo facciano almeno nel loro stesso interesse: perché lettori e telespettatori non sono più disposti a essere presi in giro con la favoletta del Trump cattivo, del “mostro arancione”, del gran caprone espiatorio della Casa Bianca al quale imputare tutti i mali del pianeta. Di lui lettori e telespettatori non necessariamente penseranno sempre bene, ne siamo convinti. Ma su certi “esperti”, su taluni commentatori col ditino alzato, su conduttori tv ed editorialisti ossessionati da Trump, la maggioranza degli italiani ride da tempo. Di disprezzo, nemmeno più di divertimento.