Bucarest
L'incredibile caso Romania: il vizio dell'autocrazia Ue
Chi scrive non è esattamente un ammiratore politico di Calin Georgescu. Ma a maggior ragione occorre provare indignazione assoluta per quanto sta accadendo ai danni del leader sovranista rumeno, e – più ancora – nei confronti della sorte della democrazia a Bucarest e in generale nell’Ue. Nel dicembre scorso, sulla base di un’ondata di presunta “disinformazione online” e di cosiddette “interferenze esterne”, la Corte costituzionale rumena ha annullato l’esito di un voto. Poi, qualche settimana fa, Georgescu è stato oggetto di uno strano e anomalo fermo di polizia, con accuse rimaste nebulose. E infine, trentasei ore fa, la sua candidatura è stata rigettata: par di capire, con un “voto di coscienza” da parte della maggioranza dei membri della Commissione elettorale, senza che siano state ben indicate né formalizzate contestazioni relative alle modalità di presentazione della candidatura di Georgescu alle presidenziali. Nella capitale rumena è ovviamente scoppiato il caos: i sostenitori di Georgescu manifestano, non sono mancati scontri con la polizia, e le polemiche sono roventi. L’incendio è stato appiccato con una leggerezza che lascia sgomenti. E in effetti c’è da trasecolare davanti alla naturalezza con cui qualche mese fa fu invalidata un’elezione, e con la quale oggi si elimina in anticipo un candidato: così, “all’iraniana”, con una selezione preventiva arbitraria e non democratica. E la Commissione Ue? Ostentatamente, non commenta: verrebbe da dire che tace e acconsente. Così come tacciono e acconsentono i soloni che impartiscono lezioni di democrazia a tutti (inclusi leader stravotati come Trump) ma ora non fanno un plissé davanti a un episodio abnorme. Ma veramente vogliamo accettare l’idea che un’elezione possa essere ribaltata se il popolo non vota “bene”?
O che un candidato possa essere buttato fuori se c’è il “rischio” che la gente lo voti? Sulle colonne di Libero, non c’è nemmeno bisogno di spiegare quanto questa forma mentis sia inaccettabile: l’idea che il popolo sia “saggio” solo quando vota secondo gli auspici delle élites è di per sé indigeribile. Tra l’altro: chi stabilisce quando e quanto pesi davvero un’influenza esterna? E perché le influenze esterne del passato andavano bene (essendo tutte orientate in senso eurolirico e pro establishment), mentre adesso scatta questa fretta sospetta di imbavagliare chi riceva stimoli di segno diverso? La risposta è semplice: c’è un milieu culturale e politico, un ambiente, un umore, un circolo di (quasi ex) potenti, di vecchi mandarini, che sono terrorizzati all’idea di perdere il controllo. Perdere il controllo degli elettori, in primo luogo. Ma anche perdere il controllo dei media: sui media tradizionali le classiche operazioni di censura erano più facilmente orchestrabili. E lo stesso accadeva pure online quando tutti i giganti del big tech fiancheggiavano l’internazionale dem. Ma ora che Musk ha rotto il monopolio, inducendo anche altri a rivedere le proprie posizioni, è scattato il panico. Ma una democrazia è tale se non stravolge le proprie regole in base al fatto che possa vincere o perdere un candidato “sgradito”. Georgescu è eccessivamente filorusso? Certo che sì. Ma – se ne sono capaci – gli avversari lo battano in campo aperto, con candidature e programmi più convincenti.
Altrimenti con che faccia si critica – giustamente – l’autocrazia di Mosca, se poi da queste parti si adottano metodi simili? Qualche anno fa un gigante della cultura e del giornalismo, il britannico Charles Moore (biografo di Margaret Thatcher, già direttore di Telegraph e Spectator, e ora commentatore per le due testate), descrisse così i mandarini di Bruxelles: «una classe di persone altamente educate che hanno trovato la formula segreta per restare al potere senza sottomettersi alla volontà popolare». Quella tremenda descrizione – che aveva la precisione di un esame ai raggi X – si adatta oggi ai riflessi di un intero establishment europeo: inclusa la sua componente mediatica e giornalistica, troppo spesso abituata a un inaccettabile doppio standard. Matita blu per correggere le sgrammaticature vere o presunte di Trump (votato e stravotato dai suoi concittadini), e invece improvvise amnesie quando sarebbe necessario denunciare quanto sia logoro il tessuto delle nostre democrazie, e quanto sia forte la tentazione di chi è in minoranza di silenziare il popolo. Non finirà bene, c’è da temere.