"Riarmo" e non solo
Quante parole sbagliate in questa era di guerra
Ursula von der Leyen ha lanciato da Bruxelles lo slogan che deve far digerire il rospo da 800 miliardi di euro per le spese militari: «Vogliamo la pace attraverso la forza». In tedesco Frieden durch Kraft evoca un altro slogan assai poco fortunato lanciato una novantina d’anni fa proprio in Germania da qualcuno che voleva però la forza attraverso la gioia: Kraft durch Freude. Ne sono stati fatti abbastanza di pasticci linguistici in questi giorni controversi, dopo l’uragano scatenato da Donald Trump levando l’appoggio bellico all’Ucraina, lanciando in libertà termini che provocano reazioni allergiche come riarmo, che richiama mobilitazione, che evoca la guerra. L’iperattivo presidente francese Emmanuel Macron insegue una grandeur post-napoleonica che è tale solo nel nome, offrendo addirittura un ombrello nucleare agli europei e suscitando la proverbiale permalosità russa che non gliele ha mandate a dire.
Il sultano di Ankara Recep Tayyip Erdogan, in volpina crisi di identità e in tollerata bilocazione politico-militare (sta nella Nato e flirta con la Russia da cui ha pure acquistato i sistemi antiaerei vendendole droni usati contro l’Ucraina) mette a disposizione il suo esercito per fare qualcosa, perché se uno ha quello numericamente quello più importante dell’Alleanza atlantica qualche impegno dovrà pure trovarglielo. Prudenza assai poca, e furbizia a fare da contrappeso all’ingenuità di chi si sente statista ma non lo è, pur con l’ambizione di vedersi riconosciuto questo ruolo.
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Il riarmo, nel Novecento, è stato il passaggio preliminare verso i due grandi conflitti che hanno distrutto quattro imperi (russo, tedesco, autro-ungarico e ottomano) e due dittature (nazismo e fascismo), ma anche annientato la leadership mondiale dell’Europa passata agli Stati Uniti costruiti per sovrapposizioni proprio dagli europei. Il Vecchio continente, ridimensionato nella sua non-identità collettiva e plasmato sull’economia, le banche e i burocratismi dell’Ue, cerca adesso spazio, visibilità e ruolo dopo aver scoperto che lo scudo americano sembra essere svaporato e la spada è spuntata e arrugginita.
È sicurezza la parolina magica da declinare nella Babele linguistica europea, in tutte le sfumature, per far comprendere all’opinione pubblica che la pace non è un optional che cala dal cielo e ha un costo. Anche se metti eticamente al bando le guerre, da qualche parte scoppiano lo stesso, e se non sei l’Islanda o il Costarica che si possono permettere di non avere un esercito perché irrilevanti negli equilibri mondiali e nessuno si sogna di invaderli, allora qualche mossa logica sei obbligato a farla. Se la sicurezza passa dal riarmo è un conto, altro se il riarmo è agitato come spauracchio facendo intravedere lo spettro della guerra.
Persino Vladimir Putin, non proprio il primo dei galantuomini, è stato ben accorto nell’aggredire l’Ucraina specificando che si trattava di un’Operazione militare speciale e vietando per legge persino la parola guerra, pensabile ma non pronunciabile a pena di arresto e carcere. E sono quelli come Putin, e tutti i tirannelli e i terroristi che conoscono e riconoscono solo la legge del più forte, a spingere nella direzione di dover garantire la sicurezza, che è poi uno dei compiti primari di uno Stato, nazionale o sovranazionale che sia.
Certa sinistra sempre in ritardo sulla storia ha tirato fuori dalla cantina e dal frigorifero gli slogan muffiti di un passato che non si ripete, comprovando per l’ennesima volta l’anacronismo congenito nell’ideologia, perché vede il mondo che sogna e non quello che c’è. Mobilitazioni (di piazza), strepiti e anatemi la realtà non la cambiano di una virgola. Non vogliono il burro a causa del colesterolo e neppure i cannoni per reazione allergica. E tra poco, col caldo, neppure i condizionatori, per il buco nell’ozono. Vogliono l’Eden dell'agnello che bacia il lupo. E la pace attraverso la gioia, mica attraverso la forza.