Quale futuro

La Ue non spari contro Trump: convinca Zelensky a tornare a Washington

Daniele Capezzone

Oggi – con rare eccezioni – leggerete e sentirete pressoché ovunque una sola versione: “il bullo Trump-l’arrogante Trump -il cattivo Trump”. E l’Europa delle cancellerie e dei media sarà attraversata da un assurdo senso di compiacimento per lo spettacolare naufragio dei colloqui di ieri a Washington tra il Presidente Usa e il leader ucraino. E come mai? Elementare, Watson: perché a Bruxelles, a Parigi, a Berlino, per non dire del grosso delle redazioni italiane, hanno già un unico bersaglio a cui addossare ogni responsabilità. E cioè la loro bestia nera, anzi la Bestia Arancione di nome Donald. Si tratta – lo diciamo ben consapevoli di andare controcorrente – dell’ennesimo tragico errore europeo. Guardateli bene quelli che oggi puntano il dito contro Trump: loro, invece, cos’hanno fatto di efficace per arrivare a una dignitosa e non iniqua conclusione del conflitto russo-ucraino? E soprattutto: e loro adesso cosa faranno, oltre a sparacchiare comunicati e tweet contro Trump?

L’Europa dell’impotenza e della viltà rischia di scoprire – in un colpo solo – il costo della non iniziativa (quella che non è stata capace di assumere per tre lunghissimi anni) e il costo dell’intervento (se sciaguratamente le cose rimarranno al punto morto di ieri, e se dunque il conflitto proseguirà e si aggraverà, con un eventuale minore impegno americano). Fino all’ultimo, ieri sera, si poteva sperare in un “grande accordo” dopo un “grande scontro” a Washington.

 

Con un clamoroso esito win-win: in quel caso, avrebbe certamente vinto Trump, che ne sarebbe uscito come l’uomo della pace, missione fallita da tutti i leader mondiali prima di lui per tre anni; ma contemporaneamente avrebbe vinto anche Zelensky, autoassegnandosi la parte dell’orgoglioso difensore delle ragioni del suo popolo, pronto a combattere pure dentro la Casa Bianca, anche al prezzo di violare in modo spericolato ogni protocollo e qualsiasi galateo.

E invece ci siamo avvicinati a un preoccupante esito lose-lose: l’uno, Zelensky, assumendosi la responsabilità di sciupare un’intesa letteralmente vitale per il suo paese; e l’altro, Trump, pur insolentito a casa sua, assumendosi l’alea di lasciare la testa dell’Ucraina nella bocca dell’orso russo. Non giriamoci intorno: ieri l’errore politico più grave – potenzialmente addirittura esiziale – l’ha commesso Zelensky, che ha solo da perdere da un eventuale disimpegno americano. Ma un senso politico e della storia ancora minore lo mostrano i cosiddetti leader europei, che – adesso – dovrebbero convincere il presidente ucraino a tornare prima possibile, e con buone intenzioni, alla Casa Bianca.

Non facciamoci distrarre dalla forma, e concentriamoci sulla sostanza delle cose. Nelle scorse settimane Trump era stato ruvido nella forma verso l’Ucraina e verso Zelensky? Certo che sì: avendo alcune ragioni (la santificazione di Zelensky condotta per anni dai media mondiali è stata eccessiva e acritica) e avendo anche alcuni torti (qualche scivolata a favore della retorica di Putin era indubbiamente evitabile). Ma – nella sostanza – Trump ha sempre operato per salvare il salvabile.

Lo fece preventivamente rispetto alla guerra scoppiata nel 2022, durante il suo primo mandato (2016-2020), rifornendo Kiev di quei missili javelin che poi si sarebbero rivelati decisivi per la difesa ucraina. E l’ha fatto anche fino a ieri, prendendo atto con realismo di ciò che Kiev dovrebbe accettare (dolorose ma inevitabili concessioni territoriali), di ciò che purtroppo non potrà ricevere (un ombrello Nato formale), e di ciò che invece potrà e dovrà avere (altre garanzie di sicurezza e difesa, per evitare che Mosca ricominci tra qualche mese).

 

Quanto alla scelta dell’accordo sulle terre rare, stava lì il vero colpo di genio di Trump: altro che “depredare”. Per un verso, infatti, con quella mossa il Presidente Usa avrebbe creato un oggettivo interesse americano di lungo periodo rispetto alla stabilità ucraina: mostrandosi pronta a concorrere allo sfruttamento delle risorse naturali di Kiev, l’America non avrebbe certo potuto tollerare eventuali aggressioni di altri verso quel territorio. Non solo: prospettando un vantaggio per gli Usa, avrebbe placato la parte più anti-Ucraina e più isolazionista dell’opinione pubblica americana. Di più: avrebbe mostrato allo stesso Putin, al di là delle parole al miele verso Mosca, che Washington stava mettendo – neanche troppo metaforicamente – mani e piedi in territorio ucraino, dove dunque altri non avrebbero potuto maramaldeggiare. Sarebbe stato un autentico capolavoro.

E sarà una follia se – alla fine – Zelensky o gli europei non faranno tutto il possibile per trasformare questa ipotesi in realtà. Un antico brocardo latino recita così: tra due mali, occorre sempre scegliere quello minore. Ecco, il male maggiore sarebbe favorire il disimpegno americano, e lasciare gli ucraini in balia dei missili russi e delle chiacchiere europee. Lo stesso Zelensky, con il suo tweet minimamente più distensivo di fine giornata, è parso rendersene conto, riaprendo uno spiraglio. Anche dall’Europa, dunque, le teste più fredde lavorino per convincere Zelensky a tornare alla Casa Bianca. Serve una cosa chiamata “politica”. Altro che scagliare anatemi a casaccio.